«Se non ho la maggioranza io mi ritiro dalla politica, perché è colpa degli italiani se non sanno giudicare chi è capace da chi non ha mai fatto niente. Vuol dire che siamo un popolo che non merita nulla». Però niente paura: «Penso che gli italiani avranno buon senso».

Come sempre da quasi 25 anni è facile ironizzare sulle sparate di Silvio Berlusconi, per esempio segnalando che in fondo se un leader, oltretutto ineleggibile, si ritira a 80 anni suonati dopo una sconfitta la cosa non è poi clamorosa. In realtà, come sempre, dietro le uscite a effetto di Berlusconi c’è una strategia politico-propagandistica molto meno risibile di quanto non appaia.

Il capo azzurro parlava da Casamicciola, il paese di Ischia colpito in estate da un terremoto che non avrebbe dovuto fare grossi danni e invece ne ha fatti, scelto non a caso da Forza Italia per la sua convention.

L’ex Cavaliere sa perfettamente che il progetto di alleanza post-elettorale con Renzi non depotenzia affatto lo scontro elettorale: si limita a modificarne il senso. Una cosa sarà dover trattare con un Renzi capo della coalizione vittoriosa, tutt’altra farlo con un segretario del Pd battuto dal centrodestra. Nel primo caso a dettare legge sarà il Nazareno. Nel secondo, pur con truppe parlamentari più esigue dato che la Lega non seguirà il Cavaliere, le carte le darà Arcore.

Urge quindi una strategia offensiva e i terremoti sembrano fatti apposta.

L’intervento del governo Berlusconi per L’Aquila, con tutti i suoi enormi limiti, sembra essere stato meno disastroso di quello renziano nel Lazio. La linea d’attacco del Cavaliere, o almeno una delle carte forti che intende giocare, sarà proprio additare l’incapacità del rivale, gli scarsi risultati ottenuti a fronte delle rivendicazioni trionfaliste nel suo triennio al governo. «Affabulazioni»: così bolla i risultati di Renzi il grande affabulatore azzurro.

La necessità di arrivare alla trattativa con re Silvio da una posizione di forza, essenziale per rientrare a palazzo Chigi, è ben presente anche a Renzi.

Spiega probabilmente perché, nell’intervista a Repubblica, il segretario del Pd abbia deciso di cassare le primarie. Sbrigativo e secco: «Il candidato sono io».

In realtà il ragazzo di Rignano aveva nelle settimane scorse considerato seriamente la possibilità di adoperare le primarie invocate da Giuliano Pisapia come esca per attrarre l’ex sindaco in una coalizione nella quale comunque il Pd farà la parte non del leone ma del Tirannosauro.

Ha deciso per il no, salvo possibili ripensamenti, un po’ perché dopo la rottura con Mdp e la giravolta sul voto di fiducia Pisapia, secondo il capo del Nazareno, è ora tanto debole da non dover più essere adescato e molto perché le primarie sarebbero un rischio proprio in vista del braccio di ferro con Fi che si svolgerà prevedibilmente dopo le elezioni. La vittoria del leader del Pd è fuori discussione ma se dovessero entrare in lizza altri contendenti e i consensi si rivelassero troppo inferiori a quelli delle primarie Pd, verrebbe regalata a Berlusconi un’arma fortissima per bloccare una seconda presidenza Renzi.

[do action=”quote” autore=”Silvio Berlusconi”]«Escludo un governo di larghe intese per storia e ideologia»[/do]

Questo scontro, finalizzato solo a conquistare la postazione più vantaggiosa per il dopo voto, accompagnerà tutta la campagna elettorale e accentua la necessità, per ciascuno dei due leader, di negare fieramente ogni possibilità d’accordo.

«Escludo un governo di larghe intese per storia e ideologia», giura Berlusconi dimenticando che né l’una né l’altra si erano dimostrate insormontabili nel 2013. «Faremo un corpo a corpo col centrodestra», ruggisce il secondo.

Affabulatori, appunto.