Napoli 1999: quattro ragazzi adolescenti – o quasi – si raccontano alla telecamera di Agostino Ferrente e Giovanni Piperno, che registra frammenti della loro vita, il rapporto con le rispettive famiglie e «le cose belle» che si immaginano nel loro futuro. Loro sono Fabio ed Enzo, di dodici anni, e le quattordicenni Silvana e Adele, vivono a Napoli e sono gli unici a non aver detto ai due autori, durante i provini, che da grandi avrebbero voluto fare il calciatore o la modella.

Il materiale girato da Piperno e Ferrente è alla base di un documentario per Rai 3, Intervista a mia madre, andato in onda l’anno successivo: un ritratto della gioventù partenopea all’alba del ventunesimo secolo: «In un periodo storico – scrivono i registi – in cui la città guardava al futuro con ritrovata fiducia». Dieci anni dopo – tra il 2009 e il 2012 – gli autori del film tornano a Napoli dai loro quattro «protagonisti», che nel frattempo sono diventati giovani adulti.

Le riprese fatte da Ferrente e Piperno per Intervista a mia madre si uniscono così nel montaggio alle nuove testimonianze sulla vita dei quattro ragazzi ormai cresciuti: Adele ad esempio ha avuto una figlia, Enzo ha smesso di cantare, Fabio è disoccupato. Il risultato è Le cose belle, che ha debuttato nel 2012 alle Giornate degli autori del Festival di Venezia tra le proiezioni di Venice Nights, e premiato quello stesso anno come miglior documentario al SalinaDocFest. Nel 2014 il film è anche stato il vincitore del Doc/It Professional Award, oltre che del premio del pubblico italiano e internazionale.

In Le cose belle il ritratto non è più quello di un’adolescenza speranzosa: col passare del tempo i quattro ragazzi, i loro sogni e le loro ambizioni hanno dovuto scontrarsi con la realtà, e in particolare con una realtà difficile come quella di Napoli che in quegli stessi anni veniva rappresentata da Gomorra proprio come un luogo di sogni infranti e di «ragazzi di vita».

«Durante le nuove riprese – scrivono infatti Ferrente e Piperno dei quattro ragazzi nelle note di regia – ci rendemmo subito conto di non essere riusciti, anche se non era certo nostro compito, a salvarli dalla catastrofe della loro città, dove ogni speranza di rinascita era stata, ancora una volta, sistematicamente delusa».