La Cassazione segna un altro punto per il «quesito parlante», quello scelto dal governo per invogliare gli elettori a votare Sì.
Rivolgetevi all’Ufficio centrale della Cassazione, aveva in sostanza detto il Tar giovedì scorso, respingendo il ricorso contro il quesito del referendum costituzionale. Ai ricorrenti che facevano notare come il testo che sarà stampato sulle schede elettorali – quello ormai famoso che cita il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione dei parlamentari e il contenimento dei costi – non risponde alle previsioni della legge sul referendum, i giudici amministrativi avevano sbarrato il portone: c’è un difetto assoluto di giurisdizione, hanno sentenziato. Vale a dire che le decisioni della Cassazione prima (ammettere il referendum), del Consiglio dei ministri poi (stabilire la data del referendum) e del presidente della Repubblica infine (convocare le urne e fissare il quesito) non sono sindacabili da alcun giudice. Resta però un problema: il sospetto di incostituzionalità proprio della legge (del 1970) che ha introdotto i referendum. Lì dove non prevede l’obbligo di sottoporre agli elettori più referendum omogenei, invece che un solo quesito con tutto dentro, prendere o lasciare.

Il Tar, sbarrato il portone, aveva indicato un pertugio: poteva essere l’Ufficio centrale per il referendum a porre davanti alla Consulta la questione di costituzionalità. Poteva, perché il suo lavoro l’ha già fatto tra maggio e luglio dando il via al referendum. In realtà la stessa questione è già sottoposta al tribunale di Milano per effetto di due ricorsi diversi la cui sorte si conoscerà dopo il 27 ottobre. Ma intanto il Codacons ha provato a bussare in Cassazione, chiedendo la revocazione delle ordinanze con cui ha ammesso il referendum. Ed è stato respinto.
Nelle motivazioni diffuse ieri, però, c’è un passaggio interessante. È quello dove i magistrati di Cassazione riconoscono che, effettivamente, secondo la legge, il quesito del referendum non avrebbe dovuto essere quello proposto dal governo. Perché in caso di referendum su una legge di revisione costituzionale, sulla scheda vanno indicati tutti gli articoli da modificare e il loro contenuto – il quesito sarebbe stato assai meno accattivante. Che la riforma Renzi-Boschi sia una legge di revisione costituzionale il governo l’ha scritto proprio nel (contestato) titolo. Eppure, sostiene la Cassazione, questa legge cambia 50 articoli della Costituzione, ma alla fine introduce anche, in un paio di commi, alcune disposizioni transitorie. Dunque dev’essere considerata una legge costituzionale «mista» e quindi il quesito va assolto. Argomentazione assai audace. Nuovi ricorsi si annunciano.