La riforma del Mes, alla quale il prossimo vertice Ecofin dovrebbe dare il via libera definitivo, torna ad agitare la politica italiana. Anche in questo caso, nondimeno, come per la sua nuova linea di credito «pandemica», la discussione non pare all’altezza della posta in gioco.

Per chiarire questo concetto, dobbiamo tornare alla funzione originaria di questo strumento. Istituito nel 2012, nel pieno della cosiddetta crisi dei «debiti sovrani» e al di fuori del quadro giuridico Ue, la sua missione è quella di concedere assistenza finanziaria ai Paesi con difficoltà a finanziarsi sui mercati. Prestiti sotto rigide condizioni, come nel caso della Grecia e di altri Paesi della «periferia» negli anni scorsi. Insomma, un salvagente per Paesi falliti o sull’orlo del fallimento.

Perché l’Unione europea ha voluto questa «cassa» esterna all’ordinamento comunitario? Perché i Trattati attualmente non prevedono l’opzione di «salvataggi solidali». Nessuno può essere chiamato a rispondere, direttamente o indirettamente, dei debiti degli altri.

Con la riforma non si incorpora il Mes nell’ordinamento dell’Unione, ma si stabiliscono «nuove modalità di cooperazione» tra questo meccanismo e la Commissione. Se uno Stato chiede assistenza finanziaria, Bruxelles valuta la coerenza delle sue politiche di bilancio con i vincoli imposti dai Trattati, mentre il Mes ne valuta la capacità di rimborso. Entrambe queste valutazioni serviranno a definire la gravosità dei «compiti» che il richiedente dovrà fare «a casa».

Andiamo più nel dettaglio. Tra le novità introdotte dalla bozza di revisione, ce ne sono almeno quattro che meritano una menzione. La prima riguarda l’istituzione di un «dispositivo di sostegno» per le banche (backstop). Il Mes allargherebbe la sua mission, offrendo una sponda finanziaria non solo agli Stati ma anche al settore bancario ed a quello dell’intermediazione mobiliare. Qualora finissero i soldi del «Fondo di risoluzione unico», alimentato dalle stesse banche, entrerebbe in gioco il Mes come «risolutore» di ultima istanza. Un paracadute per gli speculatori? Anche. D’altronde, dopo il disastro del 2007-2008, non si è fatto nulla per mettere un freno alla libidine del fare soldi a mezzo dei soldi.

La seconda novità è riferita alle modalità di accesso ai prestiti. Per la cosiddetta «linea di credito precauzionale» si prevede una «procedura semplificata», purché il Paese sia «sano». Niente memorandum, ma solo una «lettera d’intenti». Domanda: ma se un Paese non è soggetto a procedure d‘infrazione per disavanzi eccessivi né presenta «gravi vulnerabilità del settore finanziario» ed è in grado di finanziarsi sul mercato, perché dovrebbe indebitarsi col Mes? Molto più facile che a chiedere questi soldi siano i Paesi con conclamate difficoltà finanziarie. Ma per loro resterebbe solo la strada per l’inferno. Soldi in cambio di «riforme» lacrime e sangue. Una linea per i Paesi del «centro» e un’altra per quelli della «periferia»? A pensar male si fa peccato, ma tante volte ci si indovina.

La terza novità è collegata al nuovo rapporto tra Mes e Commissione. Con la riforma dell’articolo 3 del Trattato, la vecchia Troika assume sembianze nuove. In pratica, il Mes, insieme alla Commissione ed alla Bce, entrerebbe direttamente in casa dei suoi membri, per «seguirne e valutarne la situazione macroeconomica e finanziaria, e sostenibilità del debito».

Infine, la questione delle cosiddette «Clausole di azione collettiva». Con la modifica del meccanismo di deliberazione, si intende facilitare la ristrutturazione del debito di un Paese che abbia fatto richiesta di accesso al Mes. Non è una misura che «costringe» a ristrutturare, come qualche politico o commentatore ha impropriamente affermato, ma potrebbe giocare a sfavore dei Paesi più indebitati ed aumentare il ricatto dei mercati.

Sembra un vecchio film in bianco e nero. Ed in contrasto con le novità emerse in questi mesi, dal ruolo della Bce agli strumenti finanziari messi in campo direttamente dall’Unione per fronteggiare la crisi. Delle due l’una: o si prosegue sulla strada di una maggiore integrazione, comprendente anche una nuova gestione solidale del debito, o ci si trascina col Mes, simbolo di un’Europa neoliberista, fondata sugli egoismi nazionali.