Il dossier più urgente e più scottante. L’Ilva sarà senza dubbio il primo banco di prova per il governo Conte e per il neo super ministro Luigi Di Maio.
Il tempo infatti stringe. E le decisioni dovranno essere veloci. Dal primo luglio Arcelor Mittal può formalmente chiudere l’acquisto del gruppo anche senza aver trovato un accordo coi sindacati. Gli indiani puntano ad assumere direttamente solo 10mila lavoratori, potendo scendere a 8.500 nel 2023. I sindacati, invece, continuano a insistere per la riassunzione delle attuali 13.800 persone in forza a Ilva. E, nonostante in molti pensino che gli indiani non sarebbero in grado di entrare e gestire un gruppo così grande senza il consenso sindacale e le lotte che si aprirebbero in caso di 4mila esuberi confermati, hanno lanciato l’allarme chiedendo un incontro urgente a Di Maio.

«PER L’ILVA CHIEDIAMO A QUESTO governo quello che abbiamo chiesto a tutti i governi: la salvaguardia dell’occupazione, la salvaguardia dei diritti dei lavoratori e un piano ambientale serio», spiega Francesca Re David, segretaria generale della Fiom. «vogliamo conoscere quali sono le intenzioni del nuovo governo».
Per Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, è difficile nascondere l’apprensione. «Ogni giorno la situazione è più difficile – spiega il sindacalista che per 35 anni ha lavorato come operaio proprio all’Ilva di Taranto – . C’è un quadro economico che rischia di mettere in discussione le retribuzioni dei lavoratori», sottolinea.
Il più critico con il nuovo esecutivo è il leader Fim Cisl Marco Bentivogli – molto vicino all’ex ministro Calenda – che continua a ripetere: «Il ministro Di Maio deve sapere che quando si tocca il più grande gruppo siderurgico italiano si toccano 20mila posti di lavoro, si tocca la possibilità finalmente di bonificare quell’area, di rendere la produzione dell’acciaio compatibile e ecosostenibile, e giocare sul fuoco credo che sia assolutamente pericoloso».

IN ATTESA DELL’INCONTRO con i sindacati, la vicenda Ilva sta già creando una prima crepa nel legame fra il capo politico e il fondatore del M5S. Grillo – in un video postato giovedì – ha spiegato di voler «riconvertire» l’Ilva a Taranto, bonificandola e trasformandola in un parco, come si è fatto nella Ruhr, dove «sulle ciminiere ora si fa il climbing». Ma Luigi Di Maio ieri ha preso le distanze dal fondatore del Movimento: «In questo momento Grillo o chiunque altro esprimono delle opinioni personali». «Io ho dei dossier da portare avanti quindi non prendo una decisione se non sento prima le parti», spiega. Concetto ribadito in serata in Puglia, a Barletta per un comizio elettorale: «Il dossier è sulla mia scrivania e avrà la massima attenzione ma prima di decidere voglio parlare con tutti». Alla domanda: «Chiudete, l’Ilva?», ha risposto: «Questa domanda non significa nulla, prima devo incontrare la proprietà, i commissari, i sindacati, il sindaco di Taranto. Poi bisogna vedere qual è la condizione e lo stato generale e poi si prende la decisione. Ma sia chiaro che tutto sarà fatto con responsabilità, linearità e, se serve, continuità».

LA POSSIBILITÀ CHE LA PAROLA «continuità» significhi che il nuovo governo possa prorogare l’Amministrazione straordinaria in attesa di decidere cozza con le accuse da sempre portate avanti dal M5s ai commissari. L’unica alternativa sarebbe nominare nuovi commissari con posizioni più vicine a quelle espresse dal M5s fin qui.
Il grosso nodo da sciogliere è quello dell’interpretazione della parola «riconversione». L’idea di chiudere l’Ilva di Taranto completamente dall’oggi al domani pare assai difficile da realizzare. Per questo sembra più plausibile un’idea di riconversione delle attuali produzioni utilizzando altre tecnologie come la gassificazione o il preridotto che consentirebbero livelli di inquinamento molto più bassi.

UNA POSIZIONE SEMPRE portata avanti dal presidente della regione Puglia Michele Emiliano. Che ieri è tornato alla carica: «Siamo in attesa che dopo i grandi annunci della campagna elettorale si possa cominciare a lavorare. Noi non sottoscriveremo mai un accordo che faccia proseguire la fabbrica a carbone. Se viceversa si dovesse decidere di chiuderla, ci si deve dimostrare come fa a lavorare le 20mila persone che sono lì».