«Un tempo questi fanatici che chiedono la ricostruzione del Tempio ebraico al posto delle moschee di Gerusalemme, erano pochi e ai margini della politica. Non è più così. Sono sempre più numerosi e influenti. Più di tutto possono contare su un governo ultranazionalista che li appoggia. E quanto abbiamo visto domenica è nulla, le provocazioni proseguiranno sempre più intense». È preoccupato Michael Warschawski, più noto come Mikado. Conosce in profondità il sionismo religioso e i movimenti della “redenzione”. Membro di una importante famiglia ebraica ortodossa, lo scrittore e politogo israeliano, prima di emergere negli anni 70 e 80 come uno dei principali esponenti della sinistra radicale, si era diplomato al Mercaz HaRav, il collegio fondato nel 1924 a Gerusalemme dal rabbino Abraham Isaac Kook, teorico e leader del nazionalismo religioso ebraico, dove ha studiato anche Menachem Froman, il fondatore del movimento dei coloni “Gush Emunim”. Così Warschawski, quando domenica scorsa 300 agenti di polizia hanno affrontato con il pugno di ferro i dimostranti palestinesi che con il lancio intenso di sassi e bottiglie avevano respinto il tentativo di ingresso sulla Spianata delle moschee di militanti della destra religiosa, ha caprito subito che l’idea del “ritorno” al Monte del Tempio di Gerusalemme aveva fatto un altro passo in avanti, aveva ottenuto un nuovo importante successo. «Questi movimenti – ha avvertito – si sentono legittimati, sanno di avere il via libera del governo e andranno avanti. E le loro provocazioni potrebbero innescare una escalation dalle conseguenze imprevedibili».

Complice una giornata con poche notizie internazionali forti – anche le bombe del turco Erdogan sui curdi del Pkk destavano scarsa attenzione -, i media italiani domenica hanno dato spazio al blitz della polizia israeliana contro i palestinesi asserragliati nella Spianata delle moschee di al Aqsa e della Cupola della Roccia. Manganellate, gas lacrimogeni, granate assordanti, hanno provocato una trentina di feriti tra i dimostranti. Contusi quattro poliziotti. Hanno però riferito soltanto la versione dell’accaduto data dalle autorità israeliane: era tutto pianificato da giorni, i palestinesi, molti dei quali di Hamas, avevano preparato il loro attacco in occasione del nono giorno del mese di Av nel quale gli ebrei ricordano la distruzione del primo e del secondo Tempio. Alcuni dei volti più noti dei tg italiani hanno lasciato intendere che la causa de disordini è stato il fanatismo dei musulmani, resi più esaltati del solito dai sermoni dei loro imam. Hanno perciò sorvolato (a dir poco) sulle ragioni di proteste tanto forti, che invece giornali e siti locali, anche israeliani, spiegavano con tutti i particolari.

La giornata di mobilitazione palestinese era stata organizzata per contrastare l’ingresso di centinaia di militanti del movimento ebraico di estrema destra “Torniamo sul Monte” nella Spianata delle Moschee, accompagnati dal ministro Uri Ariel (Casa ebraica). Ex responsabile dell’edilizia, ossia della colonizzazione dei territori palestinesi occupati da Israele nel 1967, Ariel, ora ministro dell’agricoltura, è uno dei più accaniti sostenitori della ricostruzione del Tempio al posto delle moschee, terzo luogo sacro dell’Islam. Convinto, come gran parte dei sionisti religiosi, che l’occupazione militare cominciata nel 1967 abbia segnato l’inizio di “tempi speciali” che impongono la redenzione di tutta Gerusalemme e di Eretz Israel, Ariel ripete che la salvezza del popolo ebraico non potrà compiersi senza la ricostruzione del Tempio.

Come spiega Michael Warschawski, la presenza nel governo di Ariel e di altri esponenti del nazionalismo religioso più estremista, rappresenta una legittimazione dei movimenti per la redenzione e la ricostruzione del Tempio – a cominciare dai “Fedeli del Monte del Tempio” del rabbino Yehuda Glick (scampato qualche mese fa ai colpi esplosi da un palestinese di Gerusalemme) e dagli “studiosi” del Machon HaMikdash (Istituto del Tempio) – e un riconoscimento di fatto delle loro richieste, un tempo teorie “bizzare” ora progetti ragionevoli. Nei mesi scorsi la stessa polizia israeliana aveva messo in guardia dalle provocazioni di questi gruppi di invasati che innescavano le reazioni, anche violente, dei palestinesi. Ma il governo Netanyahu si è mosso per placare le ambizioni di questi gruppi solo dopo le forti proteste della Giordania – la dinastia hashemita si considera custode della Spianata delle moschee – scattate anche domenica scordsa.

Ad incediare il clima, ma pochi all’estero sembrano rendersene conto, sono anche i blitz dell’esercito israeliano nei campi profughi e nei centri abitati palestinesi della Cisgiordania a caccia di “terroristi”. L’ultimo, avvenuto a Qalandiya nella notte tra domenica e lunedì, è costato la vita a un 18enne, Mohammed Abu Latifa. Il giovane, un “ricercato”, ha cercato di fuggire nonostante i colpi sparati dai soldati ma sarebbe caduto da un tetto ed è morto sul colpo. Il “terrorista” è stato sepolto tra i pianti di dolore di parenti e amici e le proteste con lanci di sassi di decine di giovani palestinesi contro il vicino posto di blocco israeliano.