Inizia un anno decisivo per il Venezuela bolivariano. Come altri commentatori della destra, Orlando Viera-Blanco ha messo le carte in tavola. Dopo un anno di battaglie nelle strade che hanno causato quasi 150 vittime e dopo la politica interventista di Donald Trump – che ha messo in campo drastiche sanzioni economiche appoggiate, seppur più debolmente, dall’Ue – il presidente Nicolás Maduro è riuscito a vincere sul piano politico, con l’elezione dell’Assemblea nazionale costituente, e su quello elettorale nel voto per i governatori e per i sindaci.

Viera-Blanco riconosce che «secondo recenti inchieste il 66% dei venezuelani pensa che il capitalismo non è un’opzione e il 34% mantiene la preferenza per il socialismo». Il successo dell’«antipolitica populista» (di Maduro), afferma, «è dovuto al fatto che i leader di un Venezuela liberale, competitivo, produttivo e prospero hanno comunicato molto male», non riuscendo a sfruttare la difficile situazione economica del paese.

La ricetta che suggerisce e che sembra unire di nuovo l’opposizione è far leva sull’intervenzionismo nordamericano e attaccare duro la politica economica del governo. Di fatto martedì scorso l’Assemblea nazionale, il Parlamento venezuelano dove l’opposizione ha la maggioranza, ha dichiarato «illegale» il decreto con cui il presidente ha deciso di creare il petro, la criptomoneta destinata a combattere «la tirannia del dollaro» e il «blocco finanziario» voluto dagli Usa.

Per i parlamentari, la moneta virtuale «viola la Costituzione e le leggi». Due gli argomenti dell’opposizione: l’emissione della criptovaluta «ha lo scopo di evitare il controllo sulle operazioni del debito pubblico», che ha portato il paese sull’orlo del default; la decisione di dare come garanzia del petro la produzione del campo numero 1 del Blocco Ayacucho della Fascia dell’Orinoco – che ha riserve provate di greggio per 5 miliardi di barili – «viola un articolo della Costituzione che dichiara inalienabili» i giacimenti di idrocarburi nel paese.

La settimana scorsa, annunciando l’intenzione di realizzare un’emissione di 100 milioni di petro, Maduro aveva informato che la criptomoneta avrà «un valore eguale al prezzo del barile di petrolio del basket venezuelano», ovvero attorno ai 59 dollari per una capitalizzazione di 59 miliardi di dollari.

L’annuncio del petro ha prodotto una rilevante aspettativa nei venezuelani. Secondo Carlos Vargas, soprintendente nazionale per le criptomonete – carica creata il mese scorso dal governo per regolare le attività collegate alle monete virtuali – l’attività mineraria digitale produce in Venezuela «tra gli 80 e i 100 milioni di dollari al mese» e «attualmente» sarebbero già più di 50mila i venezuelani iscritti nel registro governativo per usufruire del petro.

L’iniziativa dell’Assemblea generale è volta dunque a smantellare la possibilità di una moneta svincolata dal dollaro e dalle pressioni che da Miami vengono sul mercato nero del biglietto verde in Venezuela. «La criptometa è illegale e coloro che investono (nel petro) non hanno alcuna garanzia legale», ha tuonato il deputato oppositore Millán.

Anche se è molto probabile che l’esecutivo riesca a frenare la manovra del Parlamento con l’appoggio del Tribunale supremo di Giustizia e dell’Assemblea nazionale costituente (alla quale di fatto è stato conferito un ruolo legislativo e che ieri dava la notizia dell’uccisione di un suo deputato, Tomas Lucena, a Trujillo) , le accuse dei parlamentari intendono avere conseguenze nel mercato internazionale, dove il governo ha previsto di collocare il petro.

In una dichiarazione all’agenzia Ap, però, il senior economist di Ecoanalitica, Jean Paul Leidenz, ha affermato che l’impatto del veto del Parlamento «sarà minimo», visto che l’emissione di criptomoneta è diretta soprattutto a investitori russi e cinesi, meno colpiti dalle sanzioni americane anti-Maduro.

Il dato politico è però chiaro: il dialogo con il governo non dà risultati e l’anno inizia con un nuovo braccio di ferro tra i poteri legislativo ed esecutivo. Con il primo che – secondo quanto scrive Viera-Blanco – ritiene «vitale l’intervento internazionale» per «vigilare sul processo di transizione», ovvero sulla caduta di Maduro.

Ancor più chiara è stata la proposta – pubblicata il primo gennaio su Project Syndicate – di Ricardo Hausmann, ex ministro venezuelano della Pianificazione e attualmente professore ad Harvard: il Venezuela deve essere invaso da truppe di una coalizione formata da Stati uniti, Europa e America Latina, su richiesta dell’Assemblea nazionale venezuelana.

Questa sorta di «esercito di liberazione» dovrebbe imporre un nuovo governo, sostituendo quello Maduro, che nel frattempo sarebbe oggetto di una procedura di impeachment da parte dei parlamentari venezuelani.