In questo Paese gli Ogm sono amati e odiati come un simbolo del male o del bene ma non per quello che sono, cioè piante modificate per due geni per la resistenza ad un insetto e/o una resistenza a un diserbante. Questo sulla base della ideologia meccanica della Ingegneria Genetica (nomen omen) e sulla potenza finanziaria basata sulle royalties dei brevetti di tre multinazionali: Monsanto, Dupont e Syngenta. L’ideologia base degli Ogm inizia con la «rivoluzione verde» della Fao del Novecento, che puntava a ridurre la fame nel mondo selezionando piante e animali «ottimali» con il metodo di Donald, un selezionatore scozzese il quale assimilava piante e animali a macchine costituite da parti indipendenti e quindi proponeva che si potessero «ottimizzare» migliorandone singole parti una a una e mettendole insieme come nelle macchine. Così si tentò nei bovini di aumentare insieme carne, latte e lavoro e di ottenere piante tutte uguali e fatte di parti ottimali e si costruirono laboratori in molti Paesi.
La «rivoluzione verde» ebbe inizialmente successo soprattutto in America latina e in India, meno in Africa, la cui povertà impediva di comprare prodotti chimici e le macchine per l’agricoltura moderna. La rivoluzione verde si basava sul concetto di varietà «pure», con piante tutte uguali come i modelli delle macchine, senza pensare che le vite restano tali solo se diverse e quindi capaci di resistere ai cambiamenti esterni. Mancando la variabilità nelle varietà selezionate si ricorse alla chimica e alla meccanica, con alti costi nei Paesi in via di sviluppo. Per questo, dopo una riduzione degli affamati del mondo dai 918 milioni del 1970 a 780 nel 1995, questi aumentarono a oltre 800 pochi anni dopo e ora sono più di un miliardo e cento milioni. Questo anche perché si perse oltre il 75% della variabilità esistente prima della rivoluzione, fatto che particolarmente adesso colpisce l’umanità tutta, per l’accelerazione del cambiamento climatico che modifica le temperature, riduce l’acqua disponibile, aumenta la concentrazione di sali e produce la migrazione di parassiti in ambienti mai infestati. Servono quindi sempre di più varietà plastiche che si possano adattare ai cambiamenti del contesto.

Purtroppo la risposta è stata l’omologazione degli agro-ecosistemi viventi a industrie meccaniche che migliorano i prodotti innovando pezzi singoli pezzi e facilmente brevettabili. L’ingegneria genetica consiste nell’introduzione di singoli geni che, come nelle macchine, non dovrebbero determinare nessun cambiamento non previsto. Le piante invece sono viventi e possono reagire a un gene alieno con reazioni negative impreviste che hanno limitato l’introduzione nel mercato solo a soia, mais, colza e cotone resistenti a diserbanti e a un insetto. Questo perché, quando si introduce in una pianta un gene alieno, non prevediamo in quante copie entrerà nel Dna delle piante modificandolo, se il gene funzionerà, che effetti avrà sul metabolismo della pianta e questa sull’agro-ecosistema, se sarà produttiva e il prodotto alimentare sarà pericoloso per la salute degli umani e dell’agro-ecosistema. Di tutto questo Monsanto, Dupont e Syngenta non si sono interessate e hanno invece ridotto la spesa per la ricerca di nuovi Ogm migliori, imponendo l’istituzione del brevetto industriale introducendo il concetto della «sostanziale equivalenza» fra vivente e non vivente. Così, chi compra semi Gm deve pagare di nuovo ogni anno, anche se usa semi da lui prodotti. Anzi basta che ci sia anche una sola pianta Gm perché il contadino paghi per tutto il campo.

Il cambiamento del valore legale dei brevetti ha arricchito le multinazionali al punto da poter trattare anche con le nazioni l’uso di Ogm nel loro Paese. Così in America latina le Sorelle hanno trattato e introdotto i loro prodotti comprando poi a basso prezzo i campi dei contadini locali e formando gigantesche aziende dove non si coltiva cibo locale ma solo soia resistente a un diserbante di Monsanto che si esporta come mangime. Milioni di ettari della agricoltura locale sono stati comprati, i contadini cacciati o ridotti a braccianti a basso costo nelle grandi aziende, dove irrorano il pericoloso diserbante Round Up. Per ora l’Europa resiste in parte alle Sorelle, ma gli Ogm sono coltivati in 170 milioni di ettari nelle Americhe, in Cina, in India e in Africa. L’Italia ne proibisce la coltivazione per evitare possibili pericoli per la salute umana e per difendere un’agricoltura basata sulla variabilità dei cibi. Purtroppo gli Ogm non sono sufficientemente controllati dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, che ha linee guida che non permettono di usare laboratori indipendenti per i controlli. Questa prassi è contrastata da laboratori europei che hanno da tempo segnalato possibili effetti dannosi delle Gm per la salute e per l’ecosistema suolo. Questo nonostante molti laboratori europei si siano riuniti nella Rete per la responsabilità sociale e ambientale (Ensser), del cui direttivo fa parte chi scrive e che ha difficoltà ad avere finanziamenti Ue.

In Italia un solo progetto è stato finanziato molti anni fa con risultati interessanti, ma non è stato ripetuto per la povertà dei finanziamenti della nostra ricerca nazionale, nonostante gli sforzi della Coalizione anti-Ogm coordinata dalla Coldiretti, dalla Cia e da altri. Il nodo quindi non è che solo in parte la presenza di pericoli per i consumatori, ma si rischia la distruzione della nostra agricoltura, delle nostre varietà e dei cibi. Tutto questo per la potenza dell’economia finanziaria delle royalties delle imprese Ogm che, come Big Pharma, hanno smesso di fare scienza per sfruttare il mercato virtuale dei brevetti industriali sulle vite.