Cosa ne è di Ahmadreza Djalali? Di cosa è accusato? Perché è stato fatto sparire in una cella di isolamento nella famigerata prigione di Evin, a Teheran?

Le domande intorno al caso dello scienziato iraniano le carpisci dal racconto della moglie Vida Mehrannia. Dalla Svezia si collega al telefono con la Sala Nassiriya del Senato italiano dove la Commissione per i diritti umani ha indetto ieri una conferenza stampa per aprire uno squarcio sulla vicenda del ricercatore.

«Sono costantemente in contatto con il legale di mio marito – dice Vida – Ma è difficile avere informazioni. Non conosciamo neppure i capi di accusa».

COME NEL CASO DI GIULIO Regeni di nuovo l’Italia è investita da una sparizione che coinvolge direttamente la libertà di ricerca e quella di espressione. «Stavolta però possiamo intervenire – sottolinea la senatrice a vita e scienziata Elena Cattaneo – Ahmadreza è vivo».

Facciamo un passo indietro di un anno: Ahmadreza Djalali, 45 anni, scienziato iraniano, si è da poco trasferito con la famiglia in Svezia per un dottorato di ricerca al Karolinska Institute di Stoccolma.

Arriva direttamente dall’Italia: «Per quattro anni, dal 2012 alla fine del 2015, è stato nostro collega alla Crimedim, centro di ricerca in medicina dei disastri dell’Università del Piemonte Orientale – spiega il professor Luca Ragazzoni – Era arrivato nel 2010 come studente di un master e poi è rimasto come ricercatore. Insieme abbiamo lavorato a tanti progetti legati all’assistenza umanitaria. Nonostante il trasferimento in Svezia, ha continuato a collaborare con noi. Ad aprile 2016 è stato invitato dall’Università di Teheran per un ciclo di conferenze. Il 25 aprile è sparito».

DA ALLORA INIZIA UN CALVARIO invisibile: la moglie chiede ai colleghi italiani (preoccupati non vedendolo tornare per un evento previsto in Italia) di tacere, convinta che il caso si sarebbe risolto di lì a poco. Così non è: Ahmadreza sarebbe indagato per spionaggio.

«Djalali è un ricercatore specializzato in medicina dei disastri – dice il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione dei diritti umani del Senato – Ha lavorato in facoltà, istituti di ricerca e fondazioni in tutta Europa. La sua è la biografia di un uomo cosmopolita, parte di una generazione che si muove, studia, viaggia nel mondo. Che contribuisce a dare alla scienza un ruolo sociale. Ora l’Iran lo accusa di spionaggio, proprio per i suoi contatti globali».

I CAPI DI ACCUSA non si conoscono con esattezza, elemento che rende difficile anche mettere in piedi la difesa. A ciò si aggiunge il rigetto da parte del tribunale iraniano dei due avvocati presentati da Djalali. Rifiuti che a dicembre lo hanno costretto a prendere una decisione drastica: «Da dicembre Ahmadreza è in sciopero della fame – aggiunge Ragazzoni –Non potevano più restare in silenzio: ci siamo mossi a livello mediatico, sui social e sul piano istituzionale. Al nostro appello, come Crimedim, hanno risposto la Libera Università di Bruxelles e il Karolinska Institute. Ma vogliamo fare di più: oggi facciamo appello a tutto il mondo accademico perché rifiuti di prendere parte a eventi scientifici e conferenze in Iran fino a quando Djalali non sarà liberato».

A PREOCCUPARE sono le indiscrezioni che escono da Teheran: a Vida è stato detto che durante una recente udienza il marito è stato minacciato di condanna a morte. Amnesty ha lanciato una campagna, mentre la sua storia comincia a comparire nei media internazionali.

In Italia Manconi riporta di incontri con la rappresentanza diplomatica iraniana a Roma, «incontri finora deludenti»: «Sappiamo solo che le indagini sono ancora in corso, cosa che farebbe pensare che la pena di morte non sia stata già decisa. Ma quando l’ambasciata iraniana ci ha ricevuto, ci ha fornito poche informazioni e continua a farlo nonostante le continue sollecitazioni. Abbiamo però ricevuto l’appoggio dell’Alto rappresentante della Ue agli affari esteri: Mogherini ci ha detto di aver attivato i canali europei e contatti diretti con l’Iran sia a Bruxelles che a Teheran».

SUL TAVOLO C’È MOLTO: la vita di un uomo, il suo lavoro prezioso per la comunità, la libertà di fare ricerca globale, la libertà di espressione.