«Stai cercando di tramutare una tragedia in intrattenimento», dice un amico a Mahmoud Hassino, giornalista e attivista Lgbt siriano che sta lavorando a un progetto ambizioso quanto problematico: far eleggere in Turchia, nella comunità omosessuale dei rifugiati siriani, Mr. Gay Siria. Il sogno è farlo poi partecipare al concorso Mr. Gay World, tenutosi a Malta nel 2016, negli stessi giorni in cui l’Europa siglava il suo cinico accordo con la Turchia per contenere i flussi di rifugiati.

Il motivo, spiega Hassino, non è svilire la tragedia in atto ma cambiare la percezione della comunità stessa: «L’unica immagine esistente dei siriani gay è quella data da Daesh» nei video delle esecuzioni: pur nelle avversità, dunque, la comunità deve trovare una propria voce. Ma la percezione da cambiare, secondo la regista di Mr. Gay Syria Ayse Toprak – che documenta nell’arco di oltre un anno proprio quest’avventura per far partecipare un rifugiato siriano al concorso globale – è anche quella sui rifugiati in generale, per sottrarli alla rappresentazione univoca e stereotipata delle vittime. Il suo film, che ha potuto essere ultimato grazie a un crowdfunding, viene presentato in questi giorni alla trentaduesima edizione del Festival Mix di Cinema GayLesbico e Cultura Queer, in corso a Milano fino al 24 giugno. 

Il «protagonista» è Hussein, vincitore del titolo di Mr. Gay Siria durante un’eliminatoria in cui, invece di cantare o ballare come i suoi sfidanti, ha recitato un monologo sulle parole mai dette – e che forse mai potrà dire – alla madre. La sua famiglia infatti, fuggita in Turchia insieme a lui dopo l’inizio della guerra e l’arrivo del califfato, non accetterebbe mai la sua omosessualità: Hussein a soli 23 anni è già sposato, ha una figlia piccola e teme che il padre potrebbe ucciderlo se scoprisse la verità.

Per questo, quando i media iniziano a interessarsi alla sua vicenda, è costretto a sottrarsi alle interviste e alle attenzioni in grado di gettare finalmente una luce sulla piccola e coraggiosa comunità gay siriana che tra molte avversità ha trovato una sua coesione in Turchia. Alla vittoria del titolo di Mr. Gay Siria non corrisponde infatti per Hussein la concessione di un visto per raggiungere l’Europa, la sicurezza e la libertà di essere finalmente se stesso.

Quello raccontato dalla giovane regista turca Ayse Toprak è dunque un mondo che muove i suoi primi e difficoltosi passi per farsi riconoscere, accettare e tutelare, mentre un altro documentario nella selezione del Mix – Bixa Travesty di Kiko Goifman e Claudia Priscilla – porta sullo schermo un discorso più complesso e articolato sull’identità e le sue etichette, la percezione di sé e il raggiungimento di una vera libertà all’interno del proprio corpo. La protagonista é Linn Quebrada, musicista e attivista transessuale di un quartiere povero di San Paolo, in Brasile. Il film, come le canzoni e spettacoli dal vivo di Linn, è un flusso di coscienza che segue la definizione in continuo divenire della sua identità di genere.

Con un punto fermo: anche la transessualità non è tenuta conformarsi a delle aspettative e delle etichette, si può essere delle donne trans pure rifiutando, come dice Linn – il «silicone industriale», gli ormoni, l’adesione a un’immagine preconfezionata di femminilità. «Il mio corpo è come un territorio geografico da scoprire, con la sua archeologia», dice la musicista la cui forza è anche rivendicare un’opposizione di classe – oltre che basata sull’identità di genere e sul colore nero della sua pelle – al pensiero dominante.

Un aspetto della sua «rivolta» purtroppo poco esplorato dal film ma che scorre sempre sottotraccia in questo «ritratto di signora» che non cerca di fermare la sua identità sfuggente ma al contrario di lasciarla fluire libera.
E un’indagine sull’identità, quella stavolta della regista stessa, è anche il breve film saggio Love the Sinner di Jessica Devaney – alla regia con Geeta Gandbhir – filmmaker omosessuale statunitense nata e cresciuta in Florida ma trasferitasi a New York, con alle spalle un passato da fondamentalista evangelica.

La strage di Orlando del 2016 nel locale Lgbt Pulse è l’evento che la spinge a tornare per affrontare il suo passato, fino a quel momento rimosso: nell’inflessibile intolleranza e omofobia dei gruppi evangelici ai quali apparteneva riconosce infatti un’analogia con il gesto dell’assassino.

Anche se più convenzionale di Mr. Gay Syria e Bixa Travesty, Love the Sinner offre un’ulteriore prospettiva su questa ricerca dell’identità e di un posto in un mondo spesso ostile riflessa nei film in programma al Mix, nel lavoro dei cineasti e nelle battaglie dei loro protagonisti.