Biolavoro Globale. Corpi e nuova manodopera (DeriveApprodi. È stato recensito su queste pagine da Cristina Morini il 7 marzo 2015) è una mappatura precisa e utile a chiunque si cimenti con le contraddizioni delle attuali economie neoliberiste tecno-mediate. In questa cartografia le due autrici, Melinda Cooper e Catherine Waldby, sostengono che l’economia postfordista non può essere definita in termini meramente immateriali.

Il libro si configura, per questo, come una dettagliata analisi delle basi materiali del biocapitalismo. Tra medicina riproduttiva e rigenerativa, mercati e banche bio-tech, il saggio indaga i modi in cui oociti, spermatozoi, cordoni ombelicali, placenta ed embrioni sono diventati essenziali alla bioeconomia. Dalla fecondazione assistita alla maternità surrogata, passando per la clonazione e la ricerca sperimentale, Cooper e Waldby raccontano la vendita e l’acquito di gameti e fluidi; chi si assume i rischi della sperimentazione farmaceutica e chi ne trae profitti. Per questo, il loro studio apre la strada per capire in che modo le scienze bio-tech stiano trainando nuovi mercati globali, la cui fonte di plusvalore coincide direttamente con le potenzialità generative dei corpi delle donne, e non solo.

In questo libro riservate particolare attenzione al cambiamento cruciale che riguarda la divisione tra la sfera della produzione e quella della riproduzione. A giudicare dalla seconda parte del testo sembra che il confine tra le due sfere sia saltato. Riproduzione e sessualità possono oggi essere disconnesse. Allo stesso modo cura e famiglia biologica non coincidono più. Nella vostra prospettiva ciò si spiega sia con l’ascesa delle biotecnologie sia con l’irruzione delle donne nella scena pubblica e nel mercato del lavoro. In che modo le economie occidentali neoliberiste hanno tratto profitto dalla combinazione «biotecnologie-emancipazionismo»?

Melinda Cooper. C’è un momento storico in cui le donne spingono autonomamente per entrare nel mercato del lavoro; donne che prima erano confinate al ruolo di casalinghe e svolgevano un lavoro riproduttivo non pagato, dipendendo dal salario dei mariti. In quel periodo c’è stato indubbiamente un movimento di emancipazione, che si spiega con il rifiuto delle donne dalla dipendenza personale dai mariti. Le donne sono entrate nel mercato del lavoro, ma non per questo la divisione sessuale e razziale del lavoro è venuta meno. Il capitale americano postfordista può essere compreso come un adattamento al movimento emancipazionista. In quel particolare momento storico l’esternalizzazione della produzione di massa è stata la prima risposta all’attivismo dei movimenti dei lavoratori. E sempre in quel particolare momento storico il capitale americano postfordista ha assorbito la forza lavoro delle donne nel settore dei servizi. Certo, abbiamo avuto l’emancipazione ma abbiamo anche assistito a tutte le forme possibili di riassorbimento della divisione del lavoro.

Le donne testimoniano sempre di più questa tendenza con la loro presenza crescente in alcuni settori legati all’economia dei servizi. E non stiamo parlando dei settori più professionalizzanti, quelli degli alti livelli del management, ma dei settori dell’educazione (solo alcuni tipi di educazione), del lavoro di cura, dell’assistenza sanitaria, dei livelli più bassi insomma, che ovviamente sono anche molto razzializzati. D’altro canto mentre le donne, le mogli, abbandonavano le case, i mariti ricorrevano ai contratti per ottenere quel lavoro che prima le donne svolgevano gratuitamente. Ed ecco che compare un’intera classe di donne chiamata a lavorare nel settore dei servizi riproduttivi al posto di altre donne. E ancora si ripresenta la divisione razziale del lavoro. Non è un caso che siano le donne migranti a svolgere i servizi domestici, come lavoro remunerato, a trovare impiego nei livelli più bassi dell’economia dei servizi. L’emancipazione viaggia di pari passo alla riscrizione delle relazioni di potere, il mercato del lavoro riproduttivo si spiega così, e deve essere così analizzato.

La Scuola liberista di Chicago è stata la, sicuramente prima dei marxisti, a segnalare questa nuova realtà dell’economia americana, a segnalare che tutti i tipi di attività che una volta erano considerati in essenza non commerciabili – l’amore, la cura, il corpo in sé e i suoi organi – ora possono essere considerati lavoro, dipendono da una «manodopera». I neoliberisti hanno definito questa manodopera «capitale umano», perché ritengono che siamo tutte/i capitaliste/i. Erano molto concentrati su queste tematiche, per questo credo siano interessanti. Ma anche perché hanno svolto un ruolo sul piano della trasformazione delle legislazioni sul lavoro. Tutti gli esponenti della Scuola di Chicago, Epstein, Posner e Becker ad esempio, erano molti consapevoli dell’emergere di un mercato di organi, sangue e tessuti. Questo mercato per loro è una sorta di banco-prova.

Nella seconda parte del libro sono dedicati al mercato della riproduzione assistita in Europa. Nel libro scrivete del «turismo della fertilità»: in che modo la geografia del turismo della fertilità è influenzata dalle dinamiche dell’arbitraggio e dell’esternalizzazione del lavoro clinico? Chi compra e chi vende oociti e gameti?

Catherine Walbdy. L’Europa è una parte molto significativa del mercato della procreazione medicalmente assistita (Pma). La ragione per cui tale mercato è così florido risiede nelle dinamiche che descriviamo in Biolavoro Globale. Per molte donne è oggi sempre più difficile accettare il modo in cui i limiti biologici influenzano la capacità di procreare. Ciò dipende soprattutto dall’età degli ovuli e da tutta una serie di altre esigenze concorrenti: dipende dal momento e dall’attenzione, dal bisogno di costruirsi una carriera, di avere una casa, dal fatto che sta diventando sempre più costoso formare una famiglia. Tutto ciò concorre a rendere meno attraente il fatto di avere dei figli a vent’anni, più attraente a trentotto. Tuttavia ciò significa che sempre più donne scoprono che per rimanere incinte hanno bisogno delle tecniche di Pma. Da qui l’aumento massiccio della domanda di gameti, di sperma e ovuli. I problemi sono spesso quelli relativi alla procreazione, spesso riguardano gli ovuli e lo sperma dei partner. La Pma crea deficit. I suoi effetti sono diversi da come li si pensa generalmente. Si crea la domanda dei consumatori di oociti. In Europa è molto interessante notare che vi è un mercato interno altamente differenziato tale da avere enormi divergenze rispetto al reddito e alla ricchezza familiare, tra popolazioni diverse, all’interno dello stesso paese ma anche tra paesi diversi. E questo divario diventa sempre più esagerato. E una volta che abbiamo queste enormi disparità allora ci troviamo con gruppi di donne alla ricerca di opportunità per redditi saltuari, che magari ricorrono alla vendita di ovuli, o alla prostituzione, o lavorano come badanti senza documenti. Vi sono strade diverse per la migrazione interna. E c’è un numero crescente di donne che cerca di sopravvivere attraverso questo tipo di transazioni. Quando queste due dinamiche si incontrano, la dinamica della fertilità e quella dell’economia politica, allora cominciano a sorgere luoghi in cui le aziende possono sfruttare a proprio vantaggio questi differenziali.

In conclusione al vostro libro scrivete: «Sono esattamente i termini dello scambio che vanno ripensati, se vogliamo trasformare in una prospettiva più equa il lavoro clinico». Pensate che i termini dello scambio possano essere trasformati da una ripresa delle lotte per il reddito minimo, su base individuale, svincolato dal lavoro? Avete in mente altre strategie?

Catherine Waldby. Io penso che una delle cose più interessanti degli ultimi tempi negli Usa sia il movimento per il reddito minimo, che si è diffuso moltissimo. Vi sono state molte manifestazioni ovunque negli Usa negli ultimi 2 anni per aumentare il reddito minimo a 15 dollari all’ora. Al momento è di 6 o 7 dollari in molti stati americani. Mi sembra che questi movimenti dimostrano che dall’inizio della crisi finanziaria globale si è sviluppata una nuova consapevolezza sul lavoro precario. Non è una novità assoluta, ma in qualche modo c’è una rinnovata cultura pubblica circa la cittadinanza, le proteste pubbliche e l’attivismo che ruotano intorno al lavoro. è un ambito in cui ci si è scontrati molto con le istituzioni nel corso degli ultimi trent’anni. Credo che quello odierno sia comunque un tipo di attivismo diverso per molti aspetti.

Questo riguarda anche i tipi di situazioni che descriviamo nel libro. Non è difficile immaginare che coloro che lavorano nelle sperimentazioni cliniche e le donne che vendono ovuli e gravidanze potrebbero essere coinvolte/i nei nuovi tipi di movimenti sociali. Pensiamo a chi partecipa alle sperimentazioni cliniche negli Usa. Penso che quello che potrebbe potenzialmente accadere per contrastare le ingiustizie e lo sfruttamento che denunciamo dipende in larga misura da quello che succede a livello più generale nelle lotte intorno ai nodi del lavoro e nelle nuove forme di attivismo.

Melinda Cooper. In questo periodo sono state sollevate un buon numero di questioni, soprattutto riguardo le sotto-classi – una delle migliori espressioni che riesco a trovare – coloro che sono sotto la linea del lavoro, che sono state escluse/i dal contratto sociale del New Deal e dalla previdenza sociale, che non hanno mai goduto di alcuna protezione contro i rischi. Mi sembra che le questioni e le esigenze sollevate da questi movimenti non siano mai tramontate. è assolutamente vero che non c’è niente di eccezionale nelle forme di lavoro di cui parliamo, in termini di esposizione al rischio e di totale contrattualizzazione del rapporto di lavoro, per questo penso che la cosa migliore per questi movimenti sarebbe quella di collaborare con altri tipi di lavoratrici/ori del settore dei servizi. C’è molta sperimentazione in questo senso. In qualche modo questa questione riguarda anche quella della globalizzazione del mercato. Abbiamo avuto notizie positive dall’India, dove il lavoro precario nel settore dei servizi ha un’interessante storia di attivismo. Ovviamente dovremmo raggiungere in qualche modo i livelli di una massa critica, agire come snodi internazionali che fanno comunicare e mobilitano settori diversi. Come questo possa succedere non lo so. Possiamo solo sperare.

Il testo completo dell’intervista è consultabile nel sito: women.it