Un’amazzone che combatte per salvare quel briciolo di umanità che è rimasta sulla Terra, ridotta a un deserto inquinato dopo una guerra fratricida condotta per accaparrarsi le risorse naturali in via di esaurimento. Le guerre dell’acqua e del petrolio hanno portato morte e distruzione, al punto che sono state usate armi di distruzione di massa, che ai pochi sopravvissuti hanno provocato indicibili mutazioni genetiche. A tutto ciò si è opposta Joan, sconfitta da uno spregiudicato e sadico riccastro, che ha convinto altrettanti multimiliardari a costruire navicelle spaziali e emigrare su una stazione orbitale dove sopravvivere.

È L’AVVIO de Il libro di Joan, romanzo fantaecologista a firma di Lidia Yuknavitch pubblicato da Einaudi (pp. 272, euro 20). L’autrice non nasconde la sua passione per la fantascienza sociale – forti sono gli echi delle storie di Ursula Le Guin –, la cultura pop e il femminismo radicale, al punto che qualche scanzonato critico ha individuato nella saga della Marvel X-Men e in Judith Butler stelle della sua costellazione teorica.
Costellazione bizzarra ma non errata per una scrittrice che finora ha privilegiato nei suoi romanzi lo scandaglio della sua vita e dell’altra grande passione, la psicoanalisi, mentre in questa opera sono forti i temi del rischio di apocalisse ambientale e della mutevole e cangiante identità sessuale tipica di una attitudine queer.

Il libro di Joan è amaro, cosparso di una violenza diffusa verso l’altro ma anche di una certa propensione a infliggere a se stessi dolore. La voce narrante, infatti, è una maestra dell’incisione di disegni e storie sulla carne umana. Non una tatuatrice, bensì una sacerdotessa che insegna l’arte di incidere, bruciando la propria pelle, trasformando tutto ciò in una performance artistica molto apprezzata dai ricchi abitanti della stazione orbitale. L’incisione a fuoco è presentata come una forma di dissenso, di opposizione alla vita sempre più noiosa e sempre più disperata dei sopravvissuti, che vedono il proprio corpo avvizzirsi, mutare (l’incubo che domina i loro sogni è quello della devoluzione, il ritorno progressivo a forme di vita non umane), perdendo anche la capacità di riprodursi.

LE PARTI CHE PRIMA di altre mutano sono quelle del desidero, mentre avvizziscono prima e si atrofizzano poi gli organi sessuali maschili e femminili. La sessualità è comunque presente, in una dimensione violentemente onirica.
La voce narrante vuol sapere però che fine abbia fatto l’amazzone Joan. Tutti la danno per morta, ma la sacerdotessa dell’incisione «sente» che non è così.
Il romanzo è diviso in libri. I meno claustrofobici sono quelli dedicati alla vita, alle gesta di Joan e alla iperrealista descrizione di come è la vita sulla terra, ormai popolata da gruppi limitati di mutanti che vivono sottosuolo. Joan non vuole più combattere contro i ricchi. Si limita a una guerriglia di disturbo contro chi scende dal cielo per saccheggiare le pochissime risorse disponibili (il sospetto è che gli abitanti siano usati come materiale organico per cibare i ricchi).
Fantascienza sociale e ecologista, dunque, ma anche una rivisitazione spregiudicata e hard boiled della figura di Giovanna d’Arco. Anche Joan, come la pulzella d’Orléans si batte per la sua gente contro i potenti. Anche Joan, come l’amazzone francese, sa che la sua battaglia è destinata alla sconfitta. Il problema è seminare buoni frutti affinché cresca bene il raccolto della rivolta. Ma questa sarà materia per un’altra storia.

LA FIGURA di Giovanna d’Arco è stata più volte rivisitata. Lo ha fatto anche il drammaturgo Bertolt Brecht nella pièce Giovanna dei Macelli, dove la protagonista si batte come una amazzone, appunto, contro lo sfruttamento capitalistico.
Qui Joan non deve vedersela con il conflitto capitale e lavoro, bensì con il rischio che la specie umana finisca per inquinamento. Combatterà, apprendendo che anche in questo caso, proprio come mandava a dire la protagonista brechtiana, non si tratta solo di saper usare pistole, mitra e coltelli, ma di sviluppare efficaci armi della critica. La critica delle armi, infatti, segue sempre quelle della critica, anche all’interno di una apocalisse. O di una rivoluzione, come invita a fare Joan.