Statue di animali simili a cani in posizione eretta, impegnati a bere e spesso con una bottiglia di sakè in mano, sono una vista che si incontra spesso fuori da ristoranti o anche in alcuni templi giapponesi. Si tratta dei tanuki, importanti figure del folklore nipponico, sorta di procioni derivati da animali che esistono realmente e spesso rappresentati con un ventre prominente ed uno scroto sproporzionatamente grande. Considerati, assieme alle volpi, come il trickster per eccellenza nella tradizione del Sol Levante, i tanuki si trovano e sono protagonisti di molte opere della cultura alta e popolare dell’arcipelago.

PRESENTI già  in molte leggende, scritti o proverbi dell’epoca antica, una delle immagini che più hanno definito l’attuale forma dei tanuki è probabilmente da far risalire all’undicesimo secolo d.C. quando in molte raffigurazioni, il tanuki viene rappresentato con degli enormi testicoli che porta sulle spalle e che usa come un tamburo nei suoi vagabondaggi. Questa figura eccessiva ma bonaria è quella che si è cristallizzata di più con l’andar del tempo, anche se naturalmente ogni zona del Giappone mantiene una sua certa specificità. In generale si può però affermare che la figura folklorica del tanuki è oggi considerata un essere alla stregua di un yokai, dotato di poteri magici di trasformazione che spesso si tramuta in donna, monaco buddista o anche in qualsiasi oggetto di uso quotidiano. Se ne trova traccia anche nella produzione letteraria extra giapponese, il tanuki è infatti uno dei protagonisti principali del fantasmagorico romanzo Villa Incognito scritto da Tom Robbins nel 2003, che si apre con queste righe: «Si dice che i tanuki siano caduti dal cielo usando il loro scroto come paracadute».

UNA DELLE OPERE contemporanee che però più hanno contribuito a popolarizzare queste comiche e grottesche figure della mitologia giapponese è forse Pom Poko, lungometraggio animato diretto nel 1994, per lo Studio Ghibli, da Isao Takahata. Ispirato dal racconto Le stelle gemelle del grande scrittore Kenji Miyazawa, il film è ambientato agli inizi degli anni novanta del secolo scorso a Tama, una zona della capitale giapponese. Un gruppo di tanuki che vi abita è costretto ad abbandonare le proprie case a seguito di un piano di ristrutturazione che vuole disboscare la collina di Tama per far posto a centri commerciali e nuovi complessi residenziali.

Takahata, attraverso un film divertente ma ferocemente critico di certo modo di intendere il progresso, si scaglia contro la parte oscura del boom economico iniziato negli anni sessanta, il nuovo progetto urbano nel film inizia proprio in quel periodo, che troppo ha concesso ad un’industrializzazione selvaggia a discapito dell’ambiente ed alla relazione con esso. Allo stesso tempo però il film è anche una critica del vuoto spinto che gonfiava l’economia e i valori sul finire degli anni ottanta, quelli della grande bolla speculativa per intenderci, quando il periodo Heisei stava cominciando, e che si concluderà proprio fra pochi giorni, il 30 aprile. Contro questa modernizzazione senza scopo e senza senso, che forse simboleggia anche un taglio netto con il passato delle tradizioni millenarie dell’arcipelago, i tanuki si ribellano riprendendo la loro vecchia magica capacità di trasformarsi per mescolarsi agli umani. Usano tattiche di disturbo e di guerriglia che ricordano molto da vicino quelle adottate dai gruppi di studenti e contadini durante le ondate rivoluzionarie fra la fine dei sessanta e gli inizi dei settanta del secolo scorso, quasi come se gli esseri umani non fossero più capaci di alcuna resistenza.