Quando l’Armata popolare di liberazione della Jugoslavia, il primo maggio del 1945, entrò nella Trieste occupata dai nazifascisti liberò la città o la occupò? E la «liberazione di Trieste» fu dunque merito loro, e dei partigiani italiani che sfilarono con i compagni jugoslavi quel primo maggio, o invece degli angloamericani che vi arrivarono il 12 giugno dopo la firma dell’Accordo di Belgrado avvenuta tre giorni prima?

Alleati contro il nazifascismo

La Storia con la S maiuscola il suo verdetto l’ha già scritto, anche perché allora – benché gli angloamericani non amassero i rossi – i «titini» erano alleati nella lotta al nazifascismo. La storia piccola invece, quella ammantata di amor patrio e di declinazioni ideologiche, ancora dibatte se quella sia stata liberazione o occupazione, di quanto dura fosse quella presenza «straniera» in città e se in realtà non servisse a Tito, più che per liberare i triestini ad annetterli. Così a Trieste la data del 1 maggio è stata anche quest’anno oggetto di polemica al calor bianco, dopo che il presidente del Consiglio comunale, di professione storico, ha contestato la scelta di celebrare la liberazione di Trieste il 12 giugno tirandosi addosso le ire della destra e in parte il silenzio o la presa di distanze di parte della sinistra.

La questione slovena

La vicenda approda oggi in Consiglio comunale dove è toccato proprio a Iztok Furlanic calendarizzare una mozione di sfiducia nei suoi confronti originata da una sua intervista dove lo storico polemizzava con la scelta di celebrare il 12 cancellando o «rimuovendo» il 1 maggio. La mozione di sfiducia, promossa da «Un’altra Trieste» – organizzazione che la pensa all’opposto – ha 15 firme in calce (tutta l’opposizione alla giunta di centrosinistra meno il leghista Maurizio Ferrara) ma le servono in totale 21 voti perché la decisione di sfiduciare Furlanic passi. Difficile che ciò accada anche se il Pd è stato tiepido con l’esponente di Rifondazione e lo scontro è andato avanti anche se su (apparentemente) altri temi, come quello delle traduzioni simultanee in sloveno, difese da Furlanic che appartiene alla minoranza la cui presenza in città si percepisce a ogni passo con la sensazione però che la città stessa preferisca nasconderla, nonostante vanti nomi come quello di Boris Pahor. Lo scrittore che, nel ricordare le difficoltà della minoranza cui appartiene, ha dato però anche gran lustro a Trieste e all’Italia.

Molte cose dunque in uno scontro che sembra una questione da storici ma che in realtà fa riemergere quello che, in un’intervista a LiberaTv, Furlanic ha definito come «l’incapacità italiana di fare i conti con la storia e col suo passato fascista».

A prendere nettamente le difese di Iztok Furlanic si è schierata Sel che due giorni fa ha chiamato i giornalisti per spiegare in una conferenza stampa che Iztok Furlanic «ha espresso delle sue personali opinioni in un contesto non legato alle sue funzioni». Sel la mette sul piano innanzi tutto del diritto di critica e opinione: «In questo Paese non esiste il reato d’opinione – ha detto parlando a nome di Sinistra Ecologia e Libertà il consigliere Marino Sossi – e riteniamo quindi che non possa essergli revocato il mandato se non, come dice il regolamento, per inadempienza ai suoi compiti e alle sue funzioni. Ma questa inadempienza non c’è mai stata».

La Risiera di San Sabba

Occhi puntati dunque sul Partito democratico ma anche su cosa accadrà il prossimo primo maggio e il prossimo 12 giugno. Sossi ha aggiunto che sarebbe più corretto parlare di «due liberazioni» senza cancellare l’azione jugoslava che forzò i nazisti ad abbandonare la Risiera di San Sabba nella notte fra il 29 e il 30 aprile per ritirarsi verso la città. Un’azione cui per altro partecipò, com’è noto, anche il Cnl Alta Italia, guidato da Don Edoardo Marzari da Capodistria – medaglia d’oro della Resistenza – che ne era divenuto il presidente un anno prima (catturato dai nazisti era stato liberato dai partigiani della Brigata ferrovieri proprio il 29 aprile così che fu proprio lui, torturato e scampato all’esecuzione, a ordinare, dalla Prefettura, l’insurrezione che avrebbe portato alla liberazione della città).

A far dolere il nervo scoperto è stata l’intervista rilasciata da Furlanic a Il Piccolo, storico giornale di Trieste. Accusato di essere un «titino» e di conseguenza un «anti italiano», Furlanic è entrato nel mirino della destra ma la polemica sulla Storia si è trascinata con sé anche quella sui diritti delle minoranze, Furlanic ha ribadito di considerare la traduzione in sloveno nell’aula consiliare un «diritto garantito dalla legge» per il quale ci sarebbe anche la copertura finanziaria.

La vicenda ha fatto volare parole grosse e inasprito i rapporti col Pd, tiepido con Furlanic ma che ha evitato di gettare troppa benzina sul fuoco con un occhio a un elettorato sempre più disomogeneo e difficile da inseguire. Il segretario provinciale del partito di Renzi, Stefan Tok (pure lui di origine slovena e pure lui storico) sottolinea che è comunque necessario avere «la consapevolezza che esistono di quegli eventi memorie diverse, perché le diverse comunità hanno sofferto, e che bisogna riconoscere e rispettare queste diverse memorie». Il nervo continua a rimanere scoperto.