Trump minaccia Francia e Italia di nuovi dazi se continueranno nei loro propositi di mettere una digital tax per recuperare parte della ricchezza sociale drenata dalle imprese globali della Silicon Valley attraverso una sistematica e strutturale «elusione fiscale» grazie a consolidati meccanismi di trasferimento delle entrate, e dei profitti, verso paesi – l’Eire, ad esempio, ma anche l’Ulster – con una legislazione favorevole a una riduzione delle tasse per le imprese private.
Una situazione denunciata da report europei, centri studi internazionali, al punto che persino le paludata World Bank e l’iperliberista Fmi hanno dovuto prendere atto che il privilegio fiscale per le imprese hi-tech è divenuto uno scandalo che nuoce alla tranquillità del business dentro e fuori la Rete.

La Francia di Macron ha visto nella digital tax una forma di recupero della sovranità nazionale, nonché uno strumento per recuperare le risorse finanziarie necessarie alle misure immaginate dall’Eliseo per riguadagnare il consenso perduto con i Gilet gialli; in Italia invece il governo di Conte ha proposto la tassa come parte integrante della lotta contro la scandalosa evasione fiscale nel nostro paese. Una situazione dunque in cauto movimento, quella europea, che ha un analogo corrispettivo nell’amministrazione statunitense, che comincia ad alzare la voce contro le proposte di digital tax ritenute lesive della propria sicurezza nazionale.

La minaccia di Trump di introdurre nuovi dazi in caso della tassa imprime inoltre un’accelerata al cambio di rotta della sua amministrazione nei confronti della Silicon Valley, vista fin qui come il fumo negli occhi, in quanto gated community di democratici miliardari e cosmopoliti ostili alla working class e al ceto medio a stelle e strisce. E riottosi a qualsiasi forma di controllo sul loro operato da parte dello stato americano.

La posizione di Trump ha avuto però inedite convergenze con quanto sostenuto dall’ala sinistra del partito democratico, che da alcuni anni ha visto nella Silicon Valley un modello economico e sociale da contrastare per il troppo potere accumulato dalle imprese operanti su Internet. Inoltre, democratici come Elizabeth Warren, Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez fanno da anni campagna contro le scandalose disuguaglianze sociali tra una minoranza di manager con redditi altissimi e una maggioranza crescente di working poor. La componente liberal dei dem ha inoltre puntato l’indice contro i Big Five della Rete colpevoli di condizionare la politica nazionale attraverso la manipolazione dell’opinione politica, come emerso nello scandalo di Cambridge Analytica che ha coinvolto la società di Zuckerberg.

Da qui la proposta di Warren di spezzettare per legge le attività di imprese come Google, Amazon, Facebook in nome del libero mercato, della concorrenza e della lotta ai monopoli: proposta che ha avuto attenzione e ascolto più nell’entourage di Trump che nel partito democratico.

Ma il presidente americano ha anche la capacità di cambiare idea rapidamente. Dopo un primo periodo tumultuoso nei rapporti con la Valle del Silicio, i toni si sono addolciti. Trump ha spostato l’attenzione sul crescente potere delle imprese cinesi nell’hi-tech, sostenendo la necessità di una difesa politica di quelle made in Usa. Ha poi cominciato a sostenere l’inutilità di qualsiasi forma di inasprimento fiscale nei confronti del commercio elettronico, invitando il web a mitigare le sua vocazione cosmopolita e a fare propria una attitudine maggiormente «sovranista» per rafforzare le dinamiche correnti del capitalismo delle piattaforme e della sorveglianza, che hanno bisogno dello stato nazionale per prosperare, per rafforzare il loro potere di penetrazione economica e per consolidare le proprie economie di scala.

Sta di fatto che il clima tra i Big five della Rete e la Casa Bianca si è rasserenato e Trump ormai si candida a difendere la Silicon Valley dalla voracità fiscale europea e dalle spregiudicate società cinesi in nome della sicurezza nazionale. Da qui l’attacco alle proposte di digital tax e l’abbandono delle proposte di smembrare per legge le attività delle imprese hi-tech.

Dunque non è tempo per nessun spezzatino, manda a dire la Casa Bianca. Facebook, Amazon, Google possono dunque stare per il momento tranquille. Così facendo Trump può mantenere il suo profilo «sovranista», rivendicando anche il ruolo di comandante in capo di una potente flotta di imprese globali che scorrazza per il web per catturare la ricchezza sociale prodotta in giro per il mondo. La minaccia di nuovi dazi ha incontrato finora solo la sdegnata reazione francese e un silenzio – si spera temporaneo . del governo italiano e dell’Ue. Se la situazione rimane questa, Trump ha segnato un altro punto a suo favore, mettendo politicamente nuovamente all’angolo il vecchio continente.