I siti dell’Unesco patriminio dell’umanità, finora luoghi da tutelare e valorizzare nella loro a volte millenaria staticità, oggi contemplano anche una novità originale, «la Rete delle Grandi Macchine a spalla italiane», le torri mistiche che vengono trasportate nelle feste patronali di Nola, Palmi, Viterbo e Sassari, siti mobili da proteggere per la loro unicità. Francesco De Melis per raccontarle ha girato il video «Un patrimonio sulle spalle» che sarà presentato nella giornata di chiusura dell’Etnofestival di Monselice (complesso monumentale San Paolo), mostra del cinema documentario ed etnografico il 3 giugno alle ore 17 con gli interventi di Leandro Ventura direttore dell’Istituto centrale per la Demoetnoantropologia e Patrizia Nardi responsabile tecnico scientifico Rete delle Grandi Macchine a spalla.
La particolarità del documentario è che ci vede immersi a distanza ravvicinata e da punti di vista inaspettati ad eventi che gli antropologi sanno decodificare, che pongono domande a volte bizzarre sul significato di quelle costruzioni che sfidano la forza di gravità non fosse che a sostenerle si pone la forza contrapposta della fede e dell’onore del comune. Che si innalzano tanto verso il cielo quanto vogliono assumere un significato di profondità. Francesco De Melis è compositore, antropologo della musica, produttore, fotografo e cineasta-etnologo che da anni svolge un’attività di ricerca sulla musica tradizionale in Brasile e in Italia, promotore di diversi restauri di classici documentari etnografici. Ci facciamo raccontare la dinamica – è il caso di dirlo – di questo suo nuovo film: «Abbiamo girato tutto con la camera a spalla, con la camera a mano: come loro portano le macchine noi abbiamo fatto con la macchina da presa. È una modalità di trasporto della camera che coinvolge tutto il corpo, proprio come il trasporto della procesisone, ovviamente con un grado differente di fatica. Per questo tipo di riprese non si possono usare i nuovi tipi di macchine fotografiche, ci vuole un certo peso della camera, perché il peso influisce sulla «danza cinematografica», sul respiro, sul risultato. Si deve sentire il passo, il respiro dell’operatore. Bisogna faticare per girare in quella maniera, le camere in HD hanno un certo peso, anche se non sono pesantissime. Me ne accorgevo perché ad esempio, io che sono esecutore di chitarra classica dopo le riprese mi ritrovavo sempre con problemi ai gomiti. È un’operazione tra l’antropologia, la poesia e la sperimentazione: le feste della rete delle Grandi Macchine a spalla sono quattro: i Gigli di Nola, la Varia di Palmi, i Candelieri di Sassari e la macchina di Santa Rosa di Viterbo.
Quando abbiamo proiettato il film in sala Cortona in Campidoglio alla presenza dei portatori, i facchini della macchina di Santa Rosa, la loro reazione è stata incredibile perché quel punto di vista a loro era sconosciuto. La nostra scommessa era in qualche modo vinta perché siamo riusciti a riportare un certo punto di vista e di sonoro». Quindi è stato privilegiato il loro punto di vista non quello del turista, come si vede dalle scene spericolate: «Sì, tant’è vero che è stato di una difficoltà e di una pericolosità incredibile. Ai Gigli di Nola sono andato addirittura a bordo del Giglio, mi sono messo tra le varre, le sbarre di legno su cui poggia la banda e sotto ci sono i portatori. Quindi ci sono riprese in soggettiva dall’alto del Giglio, in un rapporto tra banda e paranza che si trova sotto».
Tu sei autore anche delle musiche: «Sì, il film è girato sulla musica delle feste e montato sia su quella fono-sfera che sulla musica della colonna sonora originale. Ed è da segnalare il lavoro di editing di Fabrizio Barraco sulla mia musica e sui sincroni relativi al paesaggio sonoro delle feste».