«Non mi monto la testa, questo è il momento dell’umiltà» dice Luigi Di Maio salutando la sua (prevedibilissima) riconferma alla testa del Movimento 5 Stelle con l’80% dei consensi. I toni da condottiero al termine di una battaglia campale fanno capire il senso dell’operazione orchestrata dal capo politico insieme a Davide Casaleggio: ricevere la piena investitura, far dimenticare la «scoppola elettorale» (copyright Alessandro Di Battista) e indebolire ogni timido accenno di dibattito interno. Non è passata neanche una settimana dal crollo delle europee ma Di Maio esulta: «La riconferma del mio ruolo di capo politico è solo il primo passo per avviare una profonda organizzazione del Movimento 5 Stelle, per renderlo più vicino ai cittadini, ai territori, per rimarcare la nostra identità e per permettere a questo governo di realizzare quella idea di paese che abbiamo costruito negli ultimi dieci anni con esperti, portavoce ed attivisti».

La stragrande maggioranza si è detta a favore di Di Maio. Ma non è stato un plebiscito, perché l’astensione contava più di altre volte. Hanno votato in 56 mila sui circa 140 mila iscritti alla piattaforma Rousseau. Il dato dell’affluenza è importante, perché c’è stato un momento dell’assemblea dei parlamentari dell’altra notte in cui è apparso evidente che la discussione stava deviando oltre il tema delle responsabilità individuale del capo politico. Piovevano attestati di stima a Di Maio, ma in molti casi bisognava leggere tra le righe. Quei complimenti erano una specie di disclaimer, servivano a disinnescare la consultazione che si sarebbe aperta di lì a poche ore, a non caricarla di significato politico. Da qui la richiesta, firmata da una sessantina di parlamentari, di sospendere il voto su Rousseau.

E l’invito a disertare il voto pronunciato da alcuni, tra i quali Roberto Fico. Il presidente della camera, protagonista di un intervento sulla crisi d’identità del M5S, spiega così la sua scelta: «Sono sempre stato contrario alla politica che si identifica in una sola persona. Se il focus resta sulla fiducia da accordare o meno a una figura, e non sui tanti cambiamenti che invece, insieme, occorre porre in essere, non ci potrà essere alcuna evoluzione. Significa non cambiare niente». Dall’altro lato, e questo è un altro segnale che fa capire il senso della votazione di ieri e del suo significato, Matteo Salvini lanciava segnali e invitava a votare a favore di Di Maio: «Dai 5 Stelle mi auguro tanti sì per Luigi di Maio e una marea di sì per andare avanti col governo».

Nel frattempo, Rousseau crea imbarazzi internazionali. I quattordici grillini eletti alle europee, che proprio ieri hanno incontrato a Roma Di Maio, cercano una collocazione in un gruppo che eviti loro l’irrilevanza. Ieri per l’ennesima volta ha sbattuto loro la porta in faccia il gruppo dei Verdi. Ma l’utilizzo della piattaforma di Casaleggio è argomento di diffidenza. «Quando fanno i loro referendum interni, non possono controllarne i dati – dichiara l’eurodeputato verde Philippe Lamberts, eletto in Belgio, ad Huffington Post – Casaleggio non glieli fa vedere. Questa non è democrazia. Quando il processo non è verificabile, la puoi chiamare democrazia diretta ma io la chiamo autocrazia. Per quale motivo dovrei prendermi a bordo quattordici europarlamentari la cui posizione è decisa da qualcuno a Milano?».

I nove grillini giunti al secondo mandato a Bruxelles hanno provato a rispondere, argomentando che spesso nella scorsa legislatura hanno votato in sintonia con gli ambientalisti. Ma il loro destino pare segnato: Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente uscente del parlamento europeo in quota M5S, ha incontrato Nigel Farage. Il tentativo è quello di rifondare il gruppo Efdd.

Di Maio però si sente in vena di festeggiare e annuncia la riorganizzazione dei 5 Stelle: «Tra qualche settimana conoscerete la nuova struttura organizzativa che secondo me deve prevedere compiti ben precisi in capo a persone individuate dal M5S, penso a deleghe sull’economia, i territori, le liste civiche, le imprese, il lavoro, l’ambiente, la sanità, la tanto discussa comunicazione, tutte questioni che sono sempre state in capo a me, vista l’assenza di una struttura interna». E se qualcuno aveva dubbi sulle sorti della maggioranza, Di Maio ricambia l’endorsement di Salvini: «Ripartiremo più forti di prima, lo faremo per il M5S e per il governo italiano che sosteniamo».