Il New York Times si scusa dopo una piccola rivolta di lettori e della redazione. La pietra dello scandalo è un editoriale del 3 giugno, a firma Tom Cotton – un senatore repubblicano dell’Arkansas, che aveva già graziato in passato le pagine del quotidiano con simili Op Ed, tra cui quello in cui sosteneva che gli Stati uniti dovevano acquistare la Groenlandia (un’idea cara anche a Donald Trump). Nel 2006, Cotton aveva invece chiesto che l’allora direttore del «Times» Bill Keller, e due giornalisti della testata, fosse processati e imprigionati per aver violato le leggi contro lo spionaggio, pubblicando reportage sui network che finanziavano Al Quaeda e altre organizzazioni terroristiche. Nonostante lo scarso apprezzamento nei confronti del primo emendamento (quello per la libertà di parola), dimostrato dal sentore in quell’occasione, il New York Times non ha esitato a pubblicare l’editoriale che Cotton ha proposto l’altro giorno. Il titolo -non si sa se suo o del redattore che lo ha passato: Mandate le truppe. Il succo, una tirata a favore dell’invio dell’esercito nelle città americane in rivolta per restaurare l’ordine «con una schiacciante dimostrazione di forza ai fini di disperdere, imprigionare e scoraggiare i fuori legge».

FUORI LEGGE che, secondo Cotton, sarebbero in gran parte composti da «criminali nichilisti in cerca di saccheggi e distruzione, frange dell’estrema sinistra, come per esempio infiltrazioni dell’Antifa che strumentalizzano proteste pacifiche per i loro fini anarcoidi». Insieme ai pezzi dei columnist abituali del giornale, la pagina Op-Ed del «Times» accoglie contributi esterni, e fa capo alla redazione Opinioni, che è indipendente da quella che amministra il resto delle pagine. È normale che pubblichi testi e pareri di matrice politicamente opposta a quella liberal/centrista del giornale. Anzi, spesso la pagina Op ed viene usata proprio per difendere il «Times» dalle accuse di essere un organo della sinistra e delle elite. Il che non toglie che un caporedattore possa voler valutare l’interesse, il valore o l’accuratezza delle opinioni opposte che decide di pubblicare.

CI SONO VOLUTE le proteste di numerosi lettori e di circa ottocento impiegati del giornale, inclusi molti reporter, che hanno minacciato di abbandonare la redazione venerdì, per scoprire che James Bennett, il capopagina delle Opinioni, l’articolo di Cotton non lo aveva nemmeno letto. Evidentemente uscire con il testo (oggi definito «fascista» da Michelle Goldberg, sulla stessa pagina Op-Ed) di un fervente sostenitore di Trump era un modo di provare di non essere «di parte». E, allo stesso tempo, di scatenare ancora di più l’indignazione «liberal», visto che parecchie affermazioni di Cotton sono non solo antidemocratiche ma false (non è provato, per esempio, che Antifa abbia un ruolo nelle proteste o nei saccheggi). La mossa doppiamente manipolatoria ha avuto un esito boomerang e, dopo svariate sessioni Zoom tra redazioni e direzioni, una portavoce del giornale ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Abbiamo esaminato il pezzo e concluso che la sua pubblicazione è stata il risultato di un processo affrettato che non incontra i nostri standard». In futuro, il comunicato promette, verranno introdotte nuove procedure di fact- checking. Una propensione opportunistica ad abdicare la propria responsabilità editoriale da parte di testate del mainstream come il «Times», e ancora di più delle reti televisive all news, è uno dei fattori che hanno favorito l’ascesa e l’impunità di Trump. Da parte sua, lui non ha lo stesso problema: è di ieri la notizia che – dopo forti pressioni del presidente – il senato a maggioranza repubblicana ha approvato la nomina del collaboratore di Steve Bannon, e recente autore di un laudatorio doc su Clarence Thomas, Michael Pack alla direzione della US Media Agency l’organismo che gestisce testate finanziate dallo governo Usa all’estero. Pack è otto inchiesta presso la procura del District of Columbia.

gdagnolovallan@gmail.com