La ’derenzizzazione’ sarà un processo meno rapido di quanto gli ammutinati del Nazareno hanno sperato dopo la loro prima vittoria, e cioè dopo aver costretto il segretario a rendere subito operative le sue dimissioni. La direzione di lunedì prossimo rischia di essere un processo in contumacia al leader, che probabilmente resterà a Firenze per non esasperare lo scontro. Ma intanto quelli che sono rimasti con lui riorganizzano le file della loro resistenza.

IERI LUCA LOTTI ha scritto su facebook un post ai limiti della provocazione contro quelli che «pontificano» sulla sconfitta: «Ha ragione il ministro Orlando quando chiede un dibattito nel Pd, sul Pd. Almeno così avremo modo di parlare di chi ha perso nel collegio di residenza ma si è salvato col paracadute, di chi non ha proprio voluto correre e di chi invece ha vinto correndo senza paracadute. Avremo modo di parlare di come è andata in alcune regioni governate dal Pd, in cui il risultato è stato inferiore alla media nazionale». L’allusione è Orlando, Emiliano, Franceschini. Lo stile urticante è di Renzi. E infatti produce il risultato: mezzo partito si scatena contro. Orlando ai suoi spiega cosa c’è dietro all’affondo: «Lotti attacca me per mandare un messaggio ai renziani in fuga».

RENZI NON C’È, dunque, ma c’è ancora. Eccome. E in attesa di organizzare  una sua associazione (chi gli è vicino smentisce) intanto pratica la riduzione del danno e prova a  non disperdere tutto il suo esercito  a rischio di rapidi cambi di casacca. Vuole contare anche in vista dell’elezione dei presidenti dei gruppi Pd di camera e senato. A Montecitorio, dove i renziani sono sulla carta più di sessanta su 118, andrà un nome di mediazione; in pole position c’è Lorenzo Guerini. Ma al senato, dove siederà il segretario e dove i suoi fedeli sono, sempre sulla carta, una trentina su 58, dovrebbe essere eletto il toscano Dario Parrini. Così la delegazione che salirà al Colle per le consultazioni sarà almeno per metà renziana. E  sosterrà la linea dell’opposizione che verrà votata lunedì in direzione.

IN DIREZIONE dove farà il suo debutto un neoiscritto di pregio, Carlo Calenda. Su di lui punta il premier Gentiloni (che lo ha spinto a iscriversi al Pd) insieme a un fronte trasversale di padri nobili del Pd e renziani pentiti convinti che solo un «papa straniero»  potrà risollevare la Ditta in liquidazione. Calenda però non vuole apparire un catapultato dall’alto: potrebbe tentare le primarie dopo il segretario di transizione che sarà eletto probabilmente dall’assemblea di metà aprile (in corsa Martina e Delrio) Anche lui è contrario al sostegno di un governo M5S.

IL RAPPORTO CON I 5 STELLE intanto rischia di frantumare quel che resta della sinistra a sinistra del Pd, dopo la disfatta del votoe. In attesa che Liberi e uguali decida se e come andare avanti, nella lista si incrociano le spade. «Leu non può essere equidistante tra Di Maio e Salvini. Dobbiamo dare disponibilità al M5S a un confronto di merito. Lasciamo al Pd, anche alla sua cosiddetta minoranza di sinistra, la logica del tanto peggio tanto meglio», propone Stefano Fassina, di Sinistra italiana. È anche la linea del  segretario Nicola Fratoianni che propone una consultazione online. Ma non è la linea del presidente della Toscana Enrico Rossi: «Aveva ragione Grillo: noi restiamo la ’peste rossa’», scrive su facebook, «Siccome ricordo come fu trattato Bersani quando andò a chiedere il sostegno dei 5 stelle per un governo di cambiamento, mi chiedo con che faccia oggi Di Maio pretenda il sostegno del Pd e soprattutto trovo stupefacente che anche in Leu ci sia qualcuno che ci pensi e sia disponibile».

LO SCONTRO INTERNO è tutto politico, i 18 eletti di Leu sono troppo pochi per colmare le distanze fra i numeri dei 5 stelle e una maggioranza per governare. Quella di Rossi è la linea anche dei dalemiani. Insieme alla riapertura dei canali verso un Pd in via di derenzizzazione. Bersani è stato il primo a dare un segnale di disgelo: «Se nel mondo progressista si smette finalmente di negare il problema, una sinistra plurale potrà riprendere il suo cammino», ha detto all’indomani delle dimissioni del segretario Pd. Scettico Fratoianni. Per lui la sconfitta di un profilo di Leu «troppo vicino al Pd pre-renziano».