Giovanni Grieco è un agricoltore del metapontino. Ha cominciato con duecento pecore ed è arrivato ad averne 1.200, ha investito quattro milioni di euro per un impianto di lavorazione del latte ed è riuscito a ottenere il marchio Igp (Indicazione geografica protetta) per il formaggio di sua produzione: il Canestrato di Moliterno. I suoi prodotti erano esportati negli Stati Uniti e a Londra si potevano trovare da Harrods. Finché sono arrivati il petrolio e i giapponesi.
Il primo ha attraversato gli 80 ettari di terreni nei quali pascolavano pecore e capre sarde con le tubature dirette dal centro oli di Viggiano, in val d’Agri, alla raffineria Eni di Taranto. I secondi, dopo l’incidente nucleare di Fukushima, hanno intensificato i controlli anche sui prodotti d’importazione, scoprendo che i formaggi dell’allevatore erano contaminati da metalli pesanti e idrocarburi.

Il petrolio ha rovinato l’azienda di Giovanni Grieco così come la chimica ha stravolto la vita di Pierino Antonioli. Quest’ultimo è un agricoltore che vive a ridosso della Caffaro, l’industria bresciana nota per la produzione di Pcb (policlorurobifenili), utilizzato come olio isolante per condensatori e trasformatori elettrici. Quando il Pcb è stato messo al bando, gli hanno detto che non poteva più coltivare nulla sui suoi terreni e che doveva sottoporsi ad analisi tossicologiche. Nel sangue gli hanno trovato 290 microgrammi di Pcb, contro una soglia massima di 15. Malato e senza lavoro, nessuno lo ha mai risarcito per il danno ricevuto.
Quella del pastore lucano e dell’agricoltore bresciano sono solo due delle storie raccontate di prima mano da Miriam Corongiu ed Enzo Tosti in Cercate l’antica madre (Gnasso editore). I due autori, impegnati nei movimenti ambientalisti della Terra dei fuochi, le hanno raccolte viaggiando da sud a nord nei tanti focolai di resistenza ecologisti italiani. Dalla Val Susa dei movimenti anti-Tav, alla Sicilia del «triangolo della morte» Augusta-Priolo-Melilli, passando per l’altra Terra dei fuochi bresciana, il libro è una retrospettiva degli scempi ambientali del Belpaese e dei suoi anticorpi, composti di storie individuali e lotte collettive in difesa del territorio di appartenenza.
Nel libro, le vicende individuali non sono mai fini a se stesse, ma sono sempre finalizzate a raccontare una battaglia o la costruzione di un’alternativa. I protagonisti sono sempre dei resistenti, mai semplici vittime di un sistema più grande di loro. Il nemico è la grande industria inquinante, le grandi opere inutili e un modello di sviluppo insostenibile, a ben vedere un mostro che non assume mai sembianze umane. La devastazione ambientale appare quasi una conseguenza inevitabile di un modello economico fondato sul profitto a ogni costo e sulla disgregazione sociale. A essa si contrappongono le diverse forme di resistenza delle comunità locali, che ritrovano coesione contro un sistema così disumanizzante.

Il capitolo più ampio è dedicato alla Terra dei fuochi dalla quale Corongiu e Tosti provengono. Raccontano la storia di Giovanni Pirozzi, un giovane figlio di un allevatore di bufale che nel 2013 espose cento manichini di plastica riciclata che raffiguravano scene di vita quotidiana, mamme con bimbi in carrozzina, malati in barella, per sensibilizzare la popolazione sulle questioni ambientali e sanitarie. Parlano del movimento che si è sviluppato negli ultimi dieci anni, composto da centinaia di gruppi locali, dalla rete Stop biocidio e dalla Rete di cittadinanza e comunità. «Ciò a cui miriamo ogni giorno non è solo opporre resistenza al degrado, alla criminalità e all’assenza delle istituzioni, ma costruire una comunità coesa in grado di rigenerare l’intero tessuto sociale», scrivono. È la sfida, quasi palingenetica, che propongono dalla Terra dei fuochi, dove l’ecologismo assume oggi la sua forma più radicale.