È stato un «piccolo» evento dell’anno, invitato in moltissimi festival nel mondo, forse ancora in giro in qualche sala – per scoprirlo si può consultare la pagina facebook «lorello e brunello, un film di jacopo quadri». Parliamo, appunto, di Lorello e Brunello il cui autore, Jacopo Quadri, è un nome che i più associano al montaggio – negli anni ha montato molto cinema italiano, Bernardo Bertolucci, Mario Martone,Marco Bechis, Gianfranco Rosi per fare qualche nome – anche se con la regia si è confrontato più volte e in forme diverse. Prima c’erano stati gli Statici (1996-2002), una serie di film brevi sperimentali. Poi i film legati al padre, il critico teatrale Franco Quadri, del quale sembrano riprendere il patrimonio di studi focalizzandosi su due nomi chiave nella storia del teatro: Luca Ronconi e Eugenio Barba. Il primo è ritratto durante le lezioni al centro teatrale di Santacristina, La scuola d’estate che dà il titolo al film; il secondo, fondatore dell’Odin Teatret la cui «lezione» ha mutato la prospettiva teatrale del ’900, viene seguito durante la preparazione per i festeggiamenti del cinquantenario del gruppo a Holstebro, in Norvegia – Il paese dove gli alberi volano. Entrambi mostrano gli artisti «al lavoro», nel passaggio di un’esperienza – come quella tra padre e figlio – continuamente messa alla prova dal confronto con le generazioni successive. Infine ecco Lorello e Brunello, che segna ancora un nuovo approccio (cinematografico) mantenendo quel desiderio di una narrazione della vita comune agli altri film.

SIAMO  in Toscana, i protagonisti sono due fratelli gemelli che coltivano i campi e allevano gli animali, un mestiere duro, senza garanzie né appoggi, calpestato dalle logiche delle economie attuali e di sempre. È un pezzo della storia d’Italia la marginalizzazione delle campagne e dei contadini, anche in quel paesaggio dolce, di luce e di morbidezza dove lo sguardo di Quadri – con la complicità di Greta de Lazzaris alla fotografia – sa entrare con discrezione e rispetto cogliendone le zone meno evidenti, laddove il ritmo dei giorni è scandito dalle stagioni ma soprattutto da una fatica costante, una battaglia di resistenza contro la distruzione.

IL PODERE di Lorello e Brunello, a Pianetti di Sovana, è sempre stato della loro famiglia, cento ettari, il grano, quattrocento pecore, il latte. Ma il mercato è sempre più avaro con l’uno e con l’altro mentre cresce il potere dei viticoltori, una grande macchina industriale che sembra ricalcare il latifondo combattuto dai loro nonni… Ci sono altre figure intorno a Lorello e Brunello, a cominciare da Mirella, la fidanzata rumena di Brunello, pure lei sempre al lavoro. E poi Walter, sua mamma Wilma, e l’anziana Ultimina che conosce le storie di tutti, lei i gemelli li ha visti nascere e crescere, la sua voce è un po’ la memoria di quei luoghi, una voce che sembra destinata a non avere più ascolto. Il mondo «fuori» è la tv accesa ai pasti silenziosi, sono i lupi veri o metaforici che occupano i pensieri di Lorello e Brunello. Il resto è lavoro, lavoro, lavoro senza posa, gesti antichi e precisi, ostinazione e sconforto, rabbia e passione che si accavallano lungo dodici mesi.

IL FILM segue i due uomini e li accompagna senza intrusioni per restituire piano piano tasselli perduti, dettagli invisibili, un universo lontano dalla cronaca, sconosciuto, eppure pieno di grandezza, quasi un’epica. Jacopo Quadri e Greta de Lazzaris non interferiscono anche se sentiamo la loro presenza, perché questo racconto, e questo filmare, può nascere solo all’interno di una relazione, in una reciprocità di fiducia e di ascolto. Cosa ci dice dunque Lionello e Brunello? Di una realtà e della sua ruvida bellezza così lontana dalle cartoline toscane da vacanza di lusso. E di quanto sia importante (ancora una volta) la trasmissione di un patrimonio di sapienza e di cultura che invece qui appare condannato a disperdersi forse per sempre, o a prendere altre direzioni molto lontane da quella dei protagonisti. Ciò che rimane è nelle immagini, anch’esse resistenti come la loro materia, nello spazio comune di un filmare che non impone una visione ma offre a chi guarda il proprio punto di vista con rispetto e partecipazione. Per restituire un sentimento che va oltre la storia.