La Giornata mondiale contro la violenza sulle donne non poteva cadere in Brasile in un momento più amaro. Se la vittoria di Jair Bolsonaro al secondo turno delle presidenziali del 28 ottobre è stata una tragedia per tutto il Paese, sicuramente lo è stata in maniera particolare per le donne.

ERANO STATE LORO, mentre l’ex capitano avanzava inesorabilmente nei sondaggi, a mobilitarsi in maniera più decisa, creando su Facebook il gruppo «Donne unite contro Bolsonaro» che, in pochissimo tempo, dietro lo slogan «Ele não» (lui no) , aveva oltrepassato i tre milioni di partecipanti. Ed erano state sempre loro a riempire le piazze del Brasile – a São Paulo, Rio de Janeiro, Belo Horizonte, Porto Alegre e in un’altra quarantina di municipi in tutto il paese – nel tentativo di respingere i discorsi e i gesti di maschilismo, sessismo e razzismo ostentati dal candidato filo-fascista.

Il loro grido – «Ele não! Ele nunca!», «Lui no! lui mai!» – era anzi risuonato talmente forte in Brasile da oltrepassare le frontiere del paese per riecheggiare in più di 90 città di tutti i continenti, trasformando l’ex capitano in una sorta di anti-bandiera globale, il simbolo dell’ondata fascista che minaccia di travolgere l’intero pianeta.

Ci avevano provato in tutti i modi, le «donne unite contro Bolsonaro», a mettere in guardia l’elettorato dalle posizioni maschiliste e anti-democratiche di colui che avevano chiamato, con il massimo disprezzo, «coso», evidenziandone, nelle reti sociali e nelle piazze, il culto della violenza, l’atteggiamento di disprezzo nei confronti delle donne, dei neri, degli indigeni, delle persone omosessuali.

NULLA DI TUTTO QUESTO è bastato. Dopo la loro oceanica manifestazione del 29 settembre, a cui si era unita un’enorme moltitudine di cittadini preoccupati per l’avanzata dell’estrema destra, Bolsonaro era anzi tornato a crescere nei sondaggi. E c’era stato addirittura chi, in maniera davvero ingenerosa, aveva puntato il dito contro la loro iniziativa, che avrebbe spinto Edir Macedo, il fondatore della potente Chiesa Universale del Regno di Dio, e gli altri leader neopentecostali a mobilitarsi a favore dell’ex capitano, in quanto difensore della famiglia tradizionale.

La sconfitta, in realtà, nulla toglie alla grandezza della mobilitazione di cui le donne brasiliane si sono rese protagoniste, offrendo una grande lezione di dignità e di lotta. E se, nel momento difficilissimo che il paese si trova ad affrontare, lo sconforto e lo stordimento sembrano avere ora il sopravvento – nessuna grande iniziativa è stata annunciata per la giornata di oggi – non ci sono dubbi che in prima linea nella resistenza contro il governo fascista di Bolsonaro ci saranno sicuramente loro.

UNA RESISTENZA di cui ci sarà di certo molto bisogno, considerando che colui che si insedierà alla presidenza del Brasile il primo gennaio prossimo non ha esitato ad ammettere che non darebbe alla donna lo stesso salario di un uomo, come pure, tra molte altre uscite dello stesso genere, è stato capace di dichiarare che la sua unica figlia femmina è stata concepita «in un momento di debolezza» e si è spinto a dire a una deputata: «Non ti stupro perché non te lo meriti».

E tutto questo in un Paese in cui vengono assassinate tredici donne ogni giorno – il quinto al mondo per numero di femminicidi -, in cui si registra uno stupro ogni undici minuti e in cui le donne guadagnano in media il 76% del reddito degli uomini (nel ranking mondiale relativo alla disuguaglianza di salari, il Brasile figura al 124mo posto su 142 paesi esaminati). E, decisamente, la situazione non è destinata a migliorare nei prossimi quattro anni.