L’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha definita «la più grave minaccia alla medicina moderna». È l’antibiotico-resistenza: la capacità dei batteri di resistere all’azione degli antibiotici. Secondo il Centro di controllo delle malattie di Stoccolma, ogni anno in Europa muoiono 25 mila persone per infezione causate da batteri antibiotico-resistenti. L’Amr (antimicrobial resistance) sarebbe responsabile di 700 mila morti all’anno a livello mondiale, secondo una recente analisi effettuata per conto del governo britannico. In assenza di interventi adeguati si potrebbe arrivare, nel 2050, a 10 milioni di morti all’anno.

La causa principale di questa resistenza dei batteri è l’impiego massiccio e indiscriminato degli antibiotici negli allevamenti. Le categorie usate negli allevamenti sono le stesse utilizzate in ambito umano. Molecole che avevano mostrato efficacia nei decenni precedenti ora incontrano una resistenza batterica, come risultato di meccanismi evolutivi naturali. È dimostrata la relazione esistente tra quantità di antibiotici impiegata nel settore zootecnico e sviluppo di batteri resistenti nell’uomo.

Secondo i dati dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) e dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), l’Italia si trova al vertice tra i paesi europei per quantità di antibiotici usati negli allevamenti. I dati dell’Ema mostrano che in Italia la quantità di antibiotico per singolo animale è più che doppia della media europea, superando di 3 volte la quantità della Francia e di 5 volte la Gran Bretagna. I paesi del Nord Europa hanno introdotto normative più restrittive per l’uso degli antibiotici negli allevamenti e presentano livelli inferiori di resistenza batterica.

È negli allevamenti di suini e pollame che si sono create le condizioni più favorevoli allo sviluppo dell’antibiotico resistenza. Quando in un capannone si allevano 30 mila polli da carne, con una densità di 20 animali per metro quadrato, che in 40 giorni devono raggiungere il peso stabilito per la macellazione, la conseguenza è l’uso massiccio e sistematico di antibiotici. Uno studio condotto in Gran Bretagna e durato due anni ha messo a confronto 12 allevamenti biologici di suini e pollame con 13 allevamenti non biologici.

Negli allevamenti non biologici si sono utilizzate, per ogni kg di carne prodotta, fino a 30 dosi di antibiotico in più rispetto a quelli biologici.

E in 8 allevamenti biologici non si è reso necessario l’impiego di alcun antibiotico nel periodo considerato. Perché è l’ambiente in cui gli animali sono allevati e i metodi di allevamento adeterminare la loro salute. Gli allevamenti intensivi hanno trasformato gli animali in macchine da carne e le logiche del profitto hanno preso il sopravvento sulla salute degli animali e delle persone.

Gli allarmi lanciati da organismi scientifici, operatori sanitari, associazioni, hanno determinato, in ambito europeo, l’emanazione di linee guida sull’uso degli antibiotici negli animali. L’Italia ha emanato il Piano nazionale di controllo dell’Amr, con l’obiettivo di ridurre del 30% entro il 2020 la quantità di antibiotici negli allevamenti. Sono le Regioni, attraverso i loro organismi sanitari (Asl, Istituti Zooprofilattici), a dover attuare questo piano. Ma le realtà sono estremamente diversificate e il Piano trova gravi difficoltà di attuazione.

Alcune Regioni (Emilia Romagna e Toscana) hanno già attuato misure incisive per perseguire l’obiettivo, altre incontrano maggiori difficoltà nel portare avanti le misure previste dal Piano. È la Regione Emilia Romagna ad aver sviluppato e sperimentato strumenti innovativi per il controllo dell’antibiotico resistenza, con il coinvolgimento di medici veterinari, laboratori di analisi, allevatori, tecnici che operano negli allevamenti.

I due progetti più importanti della Regione riguardano gli allevamenti di suini e di bovini da latte. Le indicazioni che vengono date dalla Regione agli operatori ci fanno comprendere qual è l’attuale situazione negli allevamenti in Italia.

Ecco alcune delle indicazioni più importanti:la somministrazione di antibiotici deve avvenire dopo una accurata diagnosi veterinaria con analisi di laboratorio; la profilassi non deve essere adottata in modo sistematico all’intero allevamento; gli animali malati devono essere separati e trattati individualmente; non vanno impiegati antibiotici sugli animali sani; non impiegare alcune categorie di antibiotici (cefalosporine,colistina) che sono considerati di «importanza critica», strumenti «salvavita», riservandoli al solo consumo umano in caso di gravissime infezioni; attuare misure di igiene e pratiche zootecniche mirate alla prevenzione. Queste indicazioni ci fanno capire chiaramente che negli allevamenti non vi è un’adeguata azione di prevenzione delle malattie e che le terapie di massa con antibiotici sono una pratica costante. Una reale riduzione dell’impiego di antibiotici negli allevamenti può avvenire solamente se si opera per attuare condizioni di vita adeguate degli animali. La questione fondamentale che si pone è quella di ripensare tutto il sistema di allevamento. L’attuale sistema non può garantire né il benessere animale, né quello umano.

Non si può più ignorare la questione del benessere animale, né essa può essere liquidata come una fissazione di qualche animalista. Non si può più ignorare come vengono allevati gli animali: quali sono le tecniche di allevamento di ciascuna specie, cosa mangiano, i farmaci che vengono somministrati, la durata della loro vita, come vengono trasportati, i metodi di macellazione. Benessere degli animali, qualità della produzione, salute umana, equilibrio biologico, sono aspetti concatenati che vanno trattati nel loro insieme. Il miglioramento delle condizioni di vita degli animali è un obiettivo che va perseguito con impegno se vogliamo migliorare le nostre condizioni di vita.