Continui black-out che tolgono anche l’acqua, niente metro, ma alla manifestazione convocata ieri contro l’aggressione, in tanti sono arrivati lo stesso. Molto più piccola quella degli scontenti, che chiedono acqua, luce e… la partenza di Maduro

«Sì abbiamo moltissimo lavoro, con questi continui apagones, il primo il 7 marzo con un danno cibernetico alle principali centrali idroelettriche del paese, il secondo giorni fa, è stato un attacco con fucili che ha provocato un incendio, ci sono sabotatori interni:… per le cause di quello di ieri sera, che ha colpito moltissimi Stati, ancora si sta indagando»: Fabricio Campo, lavoratore dell’azienda elettrica pubblica Corpoelec, partecipa con i colleghi all’ennesima manifestazione a Caracas (ogni sabato ce n’è una, da febbraio) convocata per la «difesa della patria, contro ingerenze e sabotaggi».

Partendo da quattro punti diversi della città, fra bandiere, magliette rosse, gigantografie di Chavez, striscioni (quello del Frente Francisco de Miranda di San Bernardino, quartiere noto come pericoloso, recita: «Distruggere è facile. Gli eroi sono quelli che costruiscono e lavorano per la pace»), le organizzazioni popolari si sono ritrovate malgrado la chiusura del metrò – e del metro cable, la funivia che collega il centro con alcuni barrios – una precauzione visto l’ultimo black-out di venerdì sera, che ha reso ancora più difficile la condizione dell’approvvigionamento idrico già problematica per vari fattori.

Un lavoratore della Pdvs dice: «Stanno cercando di bloccare tutto perché il popolo si rivolti. Ma non ci riescono. Grazie all’Italia che ci appoggia!» Ma come? Non è al corrente del voto italiano allineato con l’Occidente a Ginevra al Consiglio dei diritti umani sul Venezuela? «Ah avevo capito che fossero almeno neutrali.» E non sa dell’ultimo pronunciamento del ministro Milanesi che – di fronte alla richiesta perentoria del parlamento europeo di riconoscere l’autoproclamato Guaidò, ribadisce comunque che l’Italia non riconosce la legittimità di Maduro e coglie l’occasione per annunciare il rinnovo delle sanzioni alla Russia.

Posizione italiana che invece è vista come bicchiere quasi pieno dal manipolo di anti Maduro ritrovatisi nelle stesse ore in una via vicina alla metro Carabobo. Casualmente, davanti a McDonald’s. Persone adulte, ragazzi con tamburo, slogan come «Non siamo Putin, non siamo Trump, vogliamo la partenza di Nicolas e i diritti umani» e «Vicini, scendete, i vicini, uniti, non saranno mai vinti» (poco riuscita parafrasi del famoso El pueblo unido). Siete dell’opposizione? Pochi però… Rispondono due signore con l’ombrello parasole: «Siamo qui perché non abbiamo luce né acqua. Pochi perché appunto tutti hanno problemi…». Veramente la luce è tornata (anche se non si sa per quanto), e nella marcia pro governo c’è moltissima gente. «Ah beh, la marcia dei rossi… La nostra sarà il 6 aprile. Siamo la maggioranza». Si vedrà alle elezioni… «Ma prima devono cambiare il Comitato elettorale o sarà la 21esima elezione con truffa». Però nel 2015 l’opposizione ha vinto alle legislative e controlla il Parlamento. Non rispondono. «Comunque grazie, l’Italia ci appoggia, lo sappiamo. L’Europa ha cercato di mantenersi neutrale perché ci sono molti di sinistra, là». Una chiara dichiarazione di schieramento.

Al Parque Carabobo, altra partenza della manifestazione delle organizzazioni popolari, la bella fontana centrale simboleggia la situazione di Caracas oggi. Seduti, in attesa, un gruppo di ragazzi della Mision Sucre, creata nel 2003 per l’accesso all’università da parte di tutti. A poca distanza, una signora con tre bidoni pesca l’acqua dalla fontana. È giallina. «Ovviamente mi serve solo per lavare le cose urgenti» dice andando verso casa.