Come è noto con la categoria «resilienza» si intende la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici. Diciamo che tutta la storia del nostro pianeta è una storia di resilienza a eventi catastrofici quanto a mutamenti lenti e continui, ma non per questo meno rilevanti. La novità del nostro tempo consiste nel fatto che, per la prima volta nella lunga vita della Terra, l’attività dell’Homo sapiens ha prodotto un profondo sconvolgimento degli equilibri dell’ecosistema. Nessuna altra specie animale aveva avuto la capacità di mettere in crisi l’ecosistema: ci voleva l’hybris e la tecnologia sviluppata dagli umani! Siamo così entrati in una nuova era geologica del nostro pianeta che alcuni scienziati hanno definito come antropocene, in cui anche se il sapiens prevalesse sull’hybris, ovvero se la saggezza prevalesse sulla volontà di potenza, se il senso del limite tornasse nel cuore e nelle menti delle popolazioni e dei governi, dobbiamo comunque trovare il modo di adattarci e sopravvivere al mutamento climatico. Vale a dire: anche se da domani mattina smettessimo di immettere anidride carbonica nell’atmosfera (ipotesi fantascientifica) prima che l’ecosistema terrestre ritrovasse l’equilibrio precedente ci vorrebbe comunque molto tempo.

Gli effetti di questo radicale cambiamento climatico, legato all’iperbolica immissione nell’atmosfera di CO2 dalla metà del secolo scorso, sono di due tipi: il primo, di lungo periodo, produrrà un innalzamento del livello delle acque negli oceani con conseguenza scomparsa delle piccole isole e grave crisi delle zone costiere con grandi evacuazioni delle relative popolazioni; il secondo, di breve periodo, è quello con cui già stiamo facendo i conti e si tratta di tutti quei fenomeni definiti come “eventi estremi”. Tifoni, uragani, venti forti, trombe d’aria, bombe d’acqua (neologismo entrato nella lingua italiana da un decennio) sono sempre esistiti, la novità consiste nel fatto che sono sempre più frequenti e sempre più intensi (come ho mostrato nel mio Eventi estremi). Anche gli sbalzi di temperatura in un breve lasso di tempo si sono sempre verificati, ma in questi ultimi anni sono diventati sempre più violenti e dannosi (basti ad esempio pensare al danno provocato alle mele in Trentino: lo scorso anno sono andate perdute o seriamente danneggiate il 45 per cento!). Infine, lunghi periodi di siccità hanno colpito ciclicamente parti del pianeta, con una certa costanza storica e geografica, mentre adesso il quadro è cambiato e con la siccità dovranno fare i conti zone del pianeta che ne erano esenti e appartenevano alla fascia cosiddetta temperata, di cui anche il nostro paese fa parte. Tutto sta cambiando velocemente, con una accelerazione sconosciuta al respiro lungo del nostro pianeta: è come se Gaia fosse stata colpita da tachicardia e fibrillazioni. L’anno scorso, ad esempio, hanno festeggiato in Siberia la prima, rilevante, mietitura di grano! Così come lo scioglimento dei ghiacciai del Polo Nord sta provocando una pericolosissima, in termini di inquinamento, corsa alle trivellazioni per estrarne gas e petrolio.

Cambia la geo-economia e di conseguenza cambierà anche la geo-politica mondiale. Il mutamento climatico cambierà inevitabilmente il nostro modo di abitare il pianeta, e fra le tante conseguenze una delle più cruciali e importanti per la nostra vita riguarderà il mondo dell’agricoltura e dell’alimentazione. Ciò che il sapere contadino ha appreso attraverso i millenni viene messo in discussione, quanto le tecniche agricole più moderne che andranno radicalmente riviste. È facile prevedere che si moltiplicheranno le coltivazioni in serra di ortaggi e che la cosiddetta serra resiliente, capace di adattarsi positivamente attraverso dei sensori ai mutamenti climatici avrà un grande sviluppo. Ma faremmo un grave errore a pensare che la tecnologia ci offrirà tutte le risposte e le soluzioni. Innanzitutto, non è possibile coltivare milioni di ettari di cereali in serra, né grandi estensioni di alberi da frutto. In secondo luogo non va sotto valutato l’impatto socio-economico del mutamento climatico. Gli eventi estremi colpiscono grandi proprietà e piccole proprietà contadine, ma la differenza la fa il capitale finanziario. I piccoli contadini, i veri custodi della biodiversità agricola, saranno ulteriormente colpiti dai mutamenti climatici mentre le imprese multinazionali potranno, come gli sciacalli, acquistare a poco prezzo terreni e derrate agricole e speculare sulle forti oscillazioni di prezzo nel campo delle materie prime agricole. Nel prossimo futuro non ci sarà tanto un problema di quantità, come pensava Malthus e oggi i neomalthusiani, quanto di qualità di beni alimentari. Le diseguaglianze economiche crescenti a livello globale si tradurranno, e già da oggi ne vediamo chiari segnali, in un accesso al cibo spazzatura per la gran parte della popolazione e cibo di qualità, ad altissimi prezzi, per una élite. Per chi conosce la Cina può già vedere realizzato questo processo.
Per opporsi a questo scenario ovviamente non basta la denuncia ma occorre una strategia. La risposta sociale e politica passa per una riorganizzazione del mondo agricolo che permetta al piccolo e medio produttore biologico, biodinamico, ecc. di continuare a produrre a prezzi sostenibili per la massa dei consumatori. Occorre, pertanto, una rete di mutuo soccorso, una nuova alleanza sociale nel mondo agricolo, una rete di produttori coscienti del fatto che la Madre Terra è un bene comune che va curato e non più sfruttato brutalmente.
È quello che fa la Fondazione Iris, costola della cooperativa Iris nata trenta anni fa da un collettivo di figli di contadini che, con una nuova consapevolezza, hanno scelto di tornare a lavorare la terra. Anzi, a curarla, a nutrirla, a rispettarne la memoria storica e quindi a recuperare quei grani antichi, quelle sementi scartate dal modo di produzione capitalistico che ha imposto le monocolture, per aumentare la produttività per ettaro, ma anche la necessità di ricorrere a dosi massicce di pesticidi e concimi inorganici.

Il valore di questa esperienza consiste nel fatto di aver capito che da soli nessuno si salva, che Davide non ce la fa a lottare contro Golia se non facendo rete, creando una filiera agro-alimentare alternativa. A partire da una questione cruciale per il mondo agricolo: lo sbocco di mercato dei prodotti della terra. Infatti, l’agricoltura contadina è stata messa in ginocchio proprio dalla Gdo, la Grande distribuzione organizzata, che strozza i produttori sia con prezzi decrescenti che con pagamenti sempre più dilazionati. Con il ricatto della concorrenza internazionale, soprattutto dei produttori del sud del mondo, la Gdo detta le regole e mette sotto il suo gioco i produttori agricoli che spesso cedono per mancanza di alternative. La forza di Iris è stata quella di scartare ogni rapporto con la Gdo, anche quando il corteggiamento era pressante e le offerte interessanti. Non solo. Non si tratta, infatti, solo di resistere trovando dei canali di distribuzione che permettono un rapporto diretto con i consumatori (come i Gruppi d’Acquisto Solidali o le botteghe del commercio equo), ma di costruire una filiera equa e solidale tra gli stessi produttori. Quando un’annata va male per vari motivi, il prodotto viene ad esempio danneggiato da una grandinata o cade prima del tempo per un eccesso di calore, interviene la filiera equo-solidale che lo salva dalle grinfie delle banche e dal collasso economico. A maggior ragione oggi, di fronte ai mutamenti climatici con cui dobbiamo fare i conti, il modello della Fondazione Iris – che alla solidarietà accompagna la ricerca scientifica, lo scambio di esperienze e l’acquisizione della memoria storica sepolta nelle campagne abbandonate- può risultare vincente rispetto alle filiere create dagli oligopoli per ricavarne il massimo profitto di breve periodo.