Durante il tragitto da Debaltseve a Kiev, o quanto meno in territorio «amico», le immagini disponibili mostrano l’aria rarefatta prodotta dai respiri di uomini ammassati su camion. Gli autocarri ogni tanto effettuano una fermata, per contare uomini e vetture. Ci si guarda indietro; alcuni soldati diranno poi che i camion dovevano essere almeno cento.

Ci sono anche i media, ucraini e internazionali, pronti a raccogliere dai militari qualche frase breve, scandita dal freddo, dalla fame e dalla voglia di tornare a casa.

Emergono sensazioni vivide: di essere stati graziati, di aver rischiato di finire male, asseragliati e circondati a Debaltseve. E di aver perso una battaglia decisiva. Le immagini impongono la posa dell’esercito sconfitto, confuso: hanno dovuto preparare la fuga – che il loro presidente Poroshenko, ha definito in televisione «prevista e organizzata» – in soli 10 minuti, a quanto pare.

Tutto di fretta. L’accettazione di una sconfitta «devastante» secondo il New York Times, è stata tenuta segreta fino all’ultimo. Come prevedibile e come probabilmente previsto dai leader «normanni» radunati a Minsk, la battaglia di Debaltseve, dopo aver messo a rischio la tregua, ne ha puntellato invece la stabilità. Il ritiro dell’esercito ucraino, che ha accettato la sconfitta, ha posto come conseguenza il ritiro delle armi pesanti dal fronte da parte dei filorussi, che hanno così adempiuto agli accordi stabiliti a Minsk.

Unendo Lugansk e Donetsk hanno realizzato la continuità territoriale della Novorossiya, come viene chiamata dai ribelli; ai separatisti è mancato solo il colpaccio di Mariupol, che avrebbe finito per unire alle regioni orientali anche la già russa Crimea. E dopo la fine della battaglia di Debaltseve, paradossalmente, la tregua sembra essere più reale di prima. Poroshenko, che nei prossimi giorni si recherà a salutare le truppe scampate a Debaltseve e che ieri ha presieduto una tesa riunione del consiglio di sicurezza, ha dovuto ammettere la sconfitta.

Stando a quanto comunicato dall’esercito ucraino almeno l’80 per cento degli 8 mila soldati presenti nella città – e circondati dalle truppe ribelli – starebbe già tornando indietro. In ogni caso si è trattato di una sconfitta umiliante per l’esercito di Kiev, «graziato» dai ribelli, che pure hanno comunicato la morte di almeno 2mila soldati (cifra non confermata dai comandi nazionali).

Lo smacco ucraino, ha permesso a Putin di esprimersi in una battuta che non piacerà a Kiev. «È sempre brutto perdere, soprattutto se perdi con quelli che fino ieri facevano i minatori o i conducenti di trattore», ha detto il presidente russo. Alla fine dei conti, dopo Minsk, Putin ha strappato un’altra vittoria ottenendo esattamente quanto desiderato: i ribelli hanno tenuto la città, Kiev ne è uscita con il morale a terra e ora Mosca può affrontare la tregua con un capitale militare e territoriale di tutto rispetto. Una zona, quella orientale del paese, sufficientemente ampia per stare a distanza dalle mire espansionistiche della Nato. E Kiev appare sempre più in confusione totale.

Tutt’altra aria – infatti – è quella che tira nella capitale, dove Poroshenko dovrà riuscire in imprese piuttosto complicate: richiamare dal fronte i battaglioni neonazisti e convincere un parlamento in subbuglio ad accettare una cocente sconfitta militare e diplomatica. I primi sintomi di nervosismo sono arrivati da Semyon Semyonchenko, uno dei comandanti più importanti tra quelli impegnati nelle battaglie. Secondo lui, la colpa di tutto è di Kiev e della sua leadership. Durante il consiglio di sicurezza – ha specificato – avrebbe chiesto le dimissioni del comandante dell’esercito, Viktor Muzhenko.

Semyonchenko ha scritto su Facebook che l’esercito ucraino aveva uomini e armi a sufficienza per resistere, ma il «problema è la guida e l’organizzazione, pensata e decisa da incompetenti». In serata, intanto, è arrivata la prima mossa ufficiale a Debaltseve: il leader della regione ribelle di Donetsk, Zakharcenko ha nominato come sindaco della città Aleksandr Afendikov. Mentre Tsipras, in un’intervista ad un magazine tedesco specificava che «Se si vuole punire la Russia si devono punire tutti i Paesi in cui i multimiliardari russi hanno investito i loro beni».