Sorpresa! I tecnici di Roma e di Bruxelles che avrebbero dovuto lavorare indefessi, notte e giorno, per chiudere l’accordo tra Italia e commissione europea entro il week end si sono riposati. Ieri non si è riunito nessun tavolo. «Aspettiamo il governo italiano», fanno sapere da Bruxelles. Nella selva di disinformazione e depistaggi che circonda una trattativa che ha assunto ormai connotati grotteschi non è facile capire cosa stia succedendo davvero.

TUTTO PERÒ LASCIA pensare che l’imprevista partenza da Bruxelles del ministro dell’Economia Giovanni Tria, venerdì sera dopo il secondo incontro con Dombrovskis e Moscovici, non fosse affatto il segno di un accordo ormai raggiunto e che doveva quindi essere solo messo a punto nei particolari dai tecnici. Tria, al contrario, è probabilmente tornato in patria per mettere il governo di cui fa parte, ma nel quale non è lui a decidere, di fronte all’ennesimo aut-aut della commissione. In teoria si tratterebbe solo di scalare un altro decimale e mezzo per arrivare all’1,9%. In realtà il problema è altrove, è nel deficit strutturale che la proposta italiana non scalfisce. La via europea per diminuire, sia pure di poco, anziché aumentare il deficit strutturale è ridurre ulteriormente quota 100 a una finestra una tantum. L’espediente del «finestrone triennale» evidentemente non basta.

Se il silenzio di ieri non fosse abbastanza eloquente, ci pensa Luigi Di Maio a indicare il reale stato delle cose: «Se ci sarà un accordo con la Ue sarà per mantenere le promesse con gli italiani, non per tradirle. Altrimenti anche noi avremo le piazze con i gilet gialli». Più che le piazze tinte in giallo, il problema per la maggioranza è che la retromarcia, già per come è al momento, fa emergere tutte le divisioni latenti tra Lega e M5S. Quando le risorse sono scarse, è una conseguenza inevitabile. Se si dovesse tagliare ancora, la nave già vicina al naufragio rischierebbe di affondare ben prima delle elezioni europee.

PER EVITARE DI SEPPELLIRE definitivamente quota 100 il Carroccio deve chiedere ai soci di aprire i cordoni della borsa su una misura del resto mai amata come il reddito di cittadinanza. Dopo il duello di venerdì con Giancarlo Giorgetti, ieri Di Maio, è tornato sul punto dolente: «Io ho firmato il contratto con Salvini, non con Giorgetti, e il reddito si farà perché è nel contratto». Il leader leghista conferma. Il contratto sarà onorato. Si dice anzi convinto che il governo «andrà avanti anche se da sei mesi cercano di farci litigare». Ma anche solo per provarci i soci devono riuscire a non intaccare ulteriormente i fondi per le loro due riforme di bandiera e non è affatto detto che lo accetti la commissione, che deciderà in plenaria dopo il lavoro di questi due giorni dei «diplomatici», Valdis Dombroviskis, il poliziotto cattivo, e Pierre Moscovici, quello buono.

Anche senza ulteriori passi indietro, la sconfitta nella «campagna d’Europa» porta comunque la fibrillazione al livello di massimo allarme. Sull’ecobonus è guerra aperta. La Lega ha presentato un emendamento per cancellare non solo la tassa sulle vetture inquinanti anche di nuovo acquisto ma lo stesso bonus per le auto a basso impatto ambientale. «Se gli amici 5 Stelle trovano i fondi per il bonus senza nuove tasse siamo contenti. Ma niente nuove tasse», spiega il sottosegretario leghista all’Economia Massimo Garvaglia. «Il bonus è imprescindibile: le coperture da qualche parte ci devono essere», replica il pentastellato collega sottosegretario ai Trasporti Michele Dell’Orco. Tenere insieme le culture non diverse ma opposte dei due partiti in materia di ambiente era già difficile. La scarsità condanna l’impresa a diventare sempre più ardua.

INTANTO NON SI CHIUDE neppure l’altro fronte di guerra, quello delle pensioni d’oro. «Troveremo l’accordo», rassicura Salvini. Ma segnala anche che l’accordo in questione deve escludere dal taglio chi a pensioni anche alte, di 5mila euro al mese, ci è arrivato solo grazie ai contributi versati. Non è affatto quel che vogliono i 5 Stelle.

Alla fine probabilmente una pezza la maggioranza la riuscirà a mettere, magari nel vertice convocato per stasera alle 20. Ma il deterioramento dei rapporti procede ormai con la velocità di un’epidemia. L’esito del braccio di ferro con Bruxelles potrebbe renderlo ancora più fulminante.