Oggi è il gran giorno per i moltissimi catalani che da mesi vogliono dire al mondo che desiderano una Catalogna indipendente. Per loro, quello di oggi è un giorno storico, in cui per la prima volta si celebrerà un «referendum» di autodeterminazione, in cui potranno esprimere il loro «diritto a decidere». Per gli altri, invece, non bisogna neppure avvicinarsi alle urne: il Psoe ha chiesto di non andare a votare, così come Ciudadanos. Il Partido popular del premier Rajoy è impegnato a trovare tutti i modi per criminalizzare chi vuole farlo. La posizione possibilista del movimento dei Comuni della sindaca di Barcellona Ada Colau e di Unidos Podemos riconosce che quella di oggi è una «mobilitazione», che si può andare a votare, coscienti però che non avrà alcun valore vincolante né legale, ma che avrà un innegabile valore politico. Al di fuori dei partiti, i recenti sondaggi dicono che moltissime persone cercheranno nonostante tutto di andare a votare come reazione alla repressione fomentata in questi giorni dal governo centrale e dal Pp, nonostante non si sentano indipendentisti.

 

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MA VOTARE DOVE? I giudici hanno bloccato il sistema di voto elettronico e gli ordini ricevuti dalle forze dell’ordine dicono che a partire dalle sei dovrà essere impedito l’accesso ai seggi elettorali. Ma senza violenza, e senza creare scontri. Per questo moltissime scuole (i Mossos ne avrebbero censite 163 sui 1.300 seggi visitati: il numero totale di seggi è di 2.315) sono state «pacificamente occupate» dai genitori, con bimbi e anziani, come denuncia scandalizzato il ministero degli interni spagnolo. Già, perché i Mossos hanno ricevuto l’ordine di essere particolarmente attenti nello sgombrare se ci sono bambini o anziani: soprassedere, si capisce fra le righe. «Occupiamo le scuole dove vogliamo votare domenica», dicono i genitori che stanno organizzando attività ludiche per tutto il fine settimana. Colau ne ha visitata una, e il suo vice Pisarello ha dormito nella scuola del figlio.

La chiusura della non-campagna elettorale del non-referendum è stata all’insegna del tono epico venerdì sera. «Un sogno è già qui», ha detto il presidente Puigdemont. Ma anche della controversia. Mireia Boya, del movimento di estrema sinistra Cup, ha scatenato una pioggia di critiche per essersi rivolta al partito dei Comuni chiedendo di non rubargli il referendum chiamandolo mobilitazione: «Roma non paga i traditori, abbiamo memoria e non ve lo perdoneremo mai».

LE ASSOCIAZIONI indipendentiste Anc e Òmnium, a cui il governo catalano si appoggia, hanno persino fatto una proposta dell’ultima ora: se Rajoy avesse proposto prima di ieri a mezzanotte un referendum accordato, sarebbero stati disposti a ritirare quello di oggi. Per poi aggiungere che un milione di voti oggi sarebbero «un enorme successo». Peccato che tre anni fa, la «consultazione» senza valore legale ne aveva raccolti più del doppio (e comunque i votanti in Catalogna sono 5 milioni e mezzo).

Altro effetto è stato quello di mostrare che i fascisti ci sono anche in Spagna: sono pochi quelli che si fanno vedere, ma molto rumorosi. A gruppi di centinaia sono scesi in piazza con grandi bandiere spagnole, Cara al sol (l’inno franchista) e qualche saluto fascista per protestare contro il referendum: a Madrid, Barcellona e qualche altra città. A Bilbao invece una manifestazione in appoggio del referendum catalano, e persino a Madrid e in altre città ci sono state piccole mostre d’appoggio al referendum.

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MARIANO RAJOY e i suoi ministri e anche il re, grandissimo assente di tutto questo dibattito, intanto pare abbiano liberato le proprie agende per la settimana prossima per seguire da vicino i prossimi sviluppi. Non è chiaro se il Parlament catalano dichiarerà davvero l’indipendenza, come prevedeva la legge istitutiva del referendum annullata dal tribunale costituzionale. Il partito di Puigdemont, il moderato PdCat, sembra abbia sfumato la posizione e sembra escluderla. Esquerra Republicana e soprattutto la Cup l’hanno presa malissimo e non ne vogliono neppure sentir parlare.

NESSUNO ESCLUDE (e probabilmente dal fronte indipendentista qualcuno ci spera) che si arrivi a qualche arresto eccellente. Non ci sarebbe nulla di meglio che un Puigdemont trascinato in catene per sancire la vittoria definitiva dell’indipendentismo. Più probabilmente, se davvero verrà dichiarata l’indipendenza, il governo potrebbe attivare il famoso articolo 155 della Costituzione per sospendere l’autonomia catalana e le sue istituzioni. Ma sarebbe un passo politicamente molto difficile da sostenere.