Andrea Nicolotti è studioso di Storia del Cristianesimo presso l’Università di Torino. Si occupa prevalentemente di cristianesimo antico, storia della liturgia e del culto delle reliquie. Tra le pubblicazioni più recenti ricordiamo I Templari e la Sindone. Storia di un falso (Salerno, 2011) e Dal Mandylion di Edessa alla Sindone di Torino. Metamorfosi di una leggenda (Dell’Orso, 2011). L’ultimo lavoro, Sindone (pubblicato da Einaudi) si presenta come il compendio di una lunga e dettagliata ricerca sulle stoffe sepolcrali di Gesù dal Tardoantico all’età contemporanea, con una particolare attenzione alle vicende storiche del telo oggi conservato a Torino.

In occasione della visita pontificia, a chiusura dell’ostensione, lo abbiamo intervistato in merito al suo lavoro di ricerca e all’attualità più stretta.

Partiamo dal presente. L’uscita di questo libro nel periodo a ridosso dell’ostensione della Sindone ha alimentato alcune polemiche sui giornali e ha riacceso lo scontro tra storici e «sindonologi». Come spiega, ancora nel 2015, tutta questa passione attorno una reliquia? Perché continuare a difenderne «l’autenticità» a discapito delle défaillances storiche e documentarie e dei riscontri scientifici?
La Sindone, inizialmente una reliquia dal culto limitato ed essenzialmente locale, è diventata negli ultimi decenni un oggetto noto in tutto il mondo grazie a una capillare propaganda perseguita con grande dispiego di energie e di mezzi, tutta incentrata sulle presunte prove della sua autenticità. Prevedo che, in futuro, la sua fama aumenterà ancora. La passione che suscita, e che la mantiene in vita nonostante tutte le difficoltà, è dovuta alla sua stessa natura: essa risponde al duplice desiderio di mostrare le fattezze umane di Cristo, altrimenti ignote, e di confermare i racconti evangelici sulla sua passione, morte e risurrezione. Per alcuni, addirittura, la sua immagine impressa è prova della sua risurrezione miracolosa.

Al contrario di quanto si potrebbe immaginare, il libro ricostruisce una storia in cui i protagonisti sono spesso i poteri laici (dal cavaliere Geoffroy de Charny ai Savoia) e in cui la Chiesa si trova per un certo periodo dall’altra parte della barricata, quella dei critici della venerazione. Come spiega questo apparente paradosso? e dunque come si inserisce la politica in questa storia?
La comparsa della Sindone nella storia in modo improvviso verso il 1355 è stata vista con sospetto dalle prime autorità ecclesiastiche che sono state chiamate ad occuparsene; esse notarono fin da subito che per più di un millennio né i Vangeli né qualche altra testimonianza aveva mai parlato dell’esistenza di una sindone con l’immagine di Gesù. Questo spiega una certa ritrosia nell’accettarla come autentica, anche in un momento in cui la produzione e lo spaccio di reliquie false raggiungeva il suo massimo storico. In questo i poteri laici hanno svolto un ruolo essenziale: Geoffroy II de Charny è colui che nel 1389 ha difeso davanti al pontefice il diritto di realizzare le ostensioni, nonostante i divieti del suo vescovo, e i Savoia a partire dal XVI secolo sono stati i patrocinatori del culto della Sindone. Per loro il telo svolgeva, fra l’altro, un ruolo di legittimazione del potere: come già avveniva con i re di Francia e gli imperatori di Costantinopoli, il privilegio di possedere reliquie di Cristo era considerato una dimostrazione della benevolenza celeste.

Quando e perché si è modificata la posizione della Chiesa? Dal vescovo di Lirey e Clemente VII al cardinal Fossati e ai papi del Novecento non sono mancate, al suo interno, correnti di pensiero diverse, divisioni e scontri…
Non esiste un vero e proprio riconoscimento ufficiale dell’autenticità della Sindone: semplicemente, da quando la Sindone è stata venduta (illegalmente) ai Savoia nel 1453, diversi papi e vescovi l’hanno considerata come tale senza porsi ulteriori domande, al contrario di quanto invece era stato deciso inizialmente da alcuni loro predecessori. Una volta divenuta reliquia dinastica essa ha goduto della protezione della casa regnante, che non avrebbe accettato di buon grado la sua de-sacralizzazione: ciò ha fornito alla Sindone una posizione inattaccabile. Alla morte di Umberto II, con la cessione del telo al papa, le cose si sono ulteriormente complicate (fra l’altro, nel libro ho spiegato perché la reliquia dovrebbe essere considerata una proprietà dello Stato italiano, non della Santa Sede). Ad oggi siamo di nuovo in una posizione di stallo: la Sindone non è un oggetto che si possa liberamente studiare.

Quale rapporto tra fede, «scienza» e nuove tecnologie emerge dalla studio della storia della «sindonologia»? In che modo questa vicenda modifica la nostra comprensione della «modernità»?
La storia della sindonologia può essere intesa come la storia di una conciliazione forzata fra scienza e fede, o come il trionfo di un pregiudizio ammantato di scienza. Sempre più, con il passare dei decenni, la sindonologia ha assunto tutte le caratteristiche tipiche delle pseudoscienze. In una società nella quale non c’è attenzione per un’educazione alla mentalità scientifica e nella quale la conoscenza pare essere stata ridotta a un’opinione, non stupisce che la sindonologia goda di grande fortuna nei mezzi di comunicazione di massa. Una posizione para-scientifica assolutamente minoritaria può così imporsi agli occhi del grande pubblico. È un fenomeno che rivela, d’altra parte, il fallimento di coloro che pensavano che la modernità avrebbe ridotto al nulla certe manifestazioni irrazionali dell’agire umano.

Nella sua recensione al libro Sergio Luzzatto ha fatto un parallelismo tra questo libro e le riflessioni di Marc Bloch sulle «false notizie» durante la Grande Guerra. Cosa ci dice questo falso della mentalità occidentale nella sua lunga durata? Perché, per esempio, il culto è entrato in crisi tra XVIII e XIX secolo per poi riemergere nel XX?
La fortuna della Sindone può essere vista come una cartina di tornasole dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti della scienza e dell’accettazione del metodo storico-critico nello studio del fenomeno religioso. I secoli XVIII e XIX hanno registrato un fruttuoso impegno da parte di molti studiosi cattolici, spesso sacerdoti, impegnati assieme ai loro colleghi laici a creare un terreno di lavoro comune, una metodologia che trascendesse le ideologie e le provenienze culturali, condivisibile da credenti e non credenti. Non a caso il più forte attacco all’autenticità della Sindone fra Ottocento e Novecento è dovuto a un sacerdote che al contempo esercitava il mestiere dello storico, il canonico Ulysse Chevalier.
Il riemergere della propaganda autenticista negli ultimi decenni è legato invece ad ambienti particolari (fra i quali diversi creazionisti e tradizionalisti). Ancor oggi, la sindonologia fa delle scienze fisico-chimiche il proprio punto di forza, minimizzando i risultati di altre discipline. Salvo poi rigettare i risultati di quelle stesse scienze, come è avvenuto nel 1988 quando la datazione della Sindone al carbonio 14 diede un risultato medievale in perfetta coerenza con ciò che gli storici avevano già stabilito da decenni; per usare un’espressione del cardinal Ballestrero, in casi come questo «le ragioni del cuore» dei sindonologi sono più forti dell’evidenza.

Papa Francesco, che già nel 2013 aveva inviato un videomessaggio durante l’ostensione televisiva, parteciperà all’ostensione in corso a Torino. Nel libro lei spiega che, a partire dall’epoca postconciliare, i vertici della Chiesa hanno scelto di evitare qualsiasi dichiarazione ufficiale sulla autenticità della Sindone; ma al contempo, nonostante lo scetticismo dell’epoca verso queste forme di religiosità, essa non ha voluto prendere nettamente le distanze dal partito degli «autenticisti». Quale conseguenza ne possiamo trarre?
Va subito detto che la Chiesa, quando si tratta di reliquie, non si impegna mai con una posizione netta. Ha scelto di non impedire il culto verso la Sindone (nonostante la legge ecclesiastica preveda che le reliquie dubbie siano rimosse dal culto), mutandone però la destinazione: si venera l’immagine di Gesù, non la stoffa in sé in quanto autentica reliquia. Quell’immagine può spingere a contemplare la sofferenza del Cristo, la sua morte, il suo amorevole sacrificio.
Ma tutto ciò si potrebbe fare anche guardando un bel dipinto: che cosa giustifica uno sforzo così imponente per espandere a livello planetario il culto di quella immagine in particolare? In verità una significativa parte del mondo cattolico ha scelto di sposare in modo a-critico la causa dell’autenticità. Credo che la crescente fortuna della Sindone sia anche specchio di un ripiegamento apologetico e reazionario di certi ambienti della Chiesa, che cedono alla sempre latente tentazione del cercare a tutti i costi qualcosa di tangibile che li confermi nella loro fede. Va detto che non tutti, all’interno della Chiesa, sottovalutano questo problema.