«Quando ho letto la notizia speravo fosse un pesce d’aprile, non sapevo se ridere o se piangere. Ma questo non è uno scherzo». La notizia sono le 600mila mascherine inviate dalla Protezione Civile che la federazione degli ordini dei medici ha detto di non usare perché non autorizzate per uso sanitario. A parlare è Mirko Tassinari, segretario dei medici di famiglia della provincia di Bergamo, la più colpita dal Coronavirus.

Sono oltre 66 i medici morti per coronavirus, centinaia quelli ammalati. Ora anche la beffa delle mascherine non omologate.

Nella bergamasca più di 140 medici di famiglia su 600 si sono ammalati, 5 sono morti. Io la chiamo tragedia di Stato perché la perdita di operatori sanitari mentre facevano il loro lavoro non è una tragedia solo per le loro famiglie o la categoria, ma riguarda tutti i cittadini. Consegnare mascherine senza certificazione vuol dire metterci al lavoro senza sapere se siamo protetti o no, è una cosa pericolosissima. Proprio 15 minuti fa mi è arrivata la notizia di un altro collega della provincia di Bergamo deceduto.

Cosa non ha funzionato in questo mese e per responsabilità di chi?

Non è il mio lavoro dare responsabilità, ma constato i fatti e ho visto che qui in Lombardia il primo mese ci si è concentrati completamente solo sull’ospedale abbandonando il territorio e non fornendo i dispositivi di protezione individuale, non capendo la portata del problema e quali potevano essere i problemi dell’assistenza a domicilio. Abbiamo accumulato pazienti che non vengono curati in ospedale perché gli ospedali sono pieni. Sono stati moltiplicati i posti di terapia intensiva e questo ha permesso di salvare molte vite, ma non è stato sufficiente. Andava messa altrettanta attenzione sul territorio.

La Lombardia da alcuni giorni ha diminuito l’uso dei tamponi. Cosa ne pensa?

Bisogna scegliere a chi farli. Ora qui c’è una pandemia che coinvolge buona parte delle case dei cittadini, se non abbiamo tamponi per tutti ragioniamo insieme a chi farli. Io propongo a due categorie. La prima, gli operatori sanitari, perché chi va dal suo medico di famiglia non deve rischiare di contagiarsi. L’altra, e questo è un problema enorme che stiamo vedendo adesso, sono le persone che devono rientrare al lavoro. Bisogna stare molto attenti e non far riaccendere focolai.

I dati ufficiali dicono che abbiamo raggiunto il picco.

Quei dati vanno presi con le pinze, primo perché da regione a regione c’è una politica sui tamponi diversa, secondo perché non rappresentano tutte le persone malate di coronavirus. Nella provincia di Bergamo stimiamo circa 100mila casi di pazienti con il coronavirus a fronte dei 9mila ufficiali. I dati ufficiali rappresentano la punta dell’iceberg, sotto c’è tutto il sommerso.

Ma stanno diminuendo i casi, avete meno chiamate?

Ci sono meno chiamate di persone che segnalano la comparsa dei sintomi. Ci sono invece tantissime chiamate per il monitoraggio delle decine di migliaia di persone malate a casa. Solo tra i miei 1.500 pazienti sono circa 200 quelli che hanno bisogno di assistenza a casa.
L’indagine del quotidiano L’Eco di Bergamo sui decessi dice che i morti reali sono più del doppio di quelli ufficiali. È così?

Forse il doppio è addirittura un dato sottostimato. Ragionare sui dati delle anagrafi dei decessi è sicuramente il modo per avvicinarsi alla realtà.