La proposta di patrimoniale avanzata da Sinistra italiana aveva avuto il merito di riaprire un fugace dibattito, subito travolto dalla crisi di governo. Ora Enrico Letta ha ripreso il discorso, sebbene in una chiave più attenuata: circoscritta, cioè, alla tassa di successione, per ricchezze grandi dieci volte quelle pensate da Fratoianni (5.000.000 vs 500.000 euro) e mirata ai giovani, categoria che anche l’immaginario neo-liberale vede vittima delle precedenti generazioni.
Considerate garantite e privilegiate. Eppure la proposta ha ricevuto una nuova salva di no, compreso quello del premier Draghi e un entusiasmo non certo unanime nello stesso Partito democratico. Draghi dice che è il momento di «dare» e non di «prendere», sembrando dimenticare che il problema è piuttosto a chi si dà e a chi si prende.

I soggetti politici sono a loro volta per lo più permeati dall’egemonia imperante da quaranta anni e che non è solo classificabile come neoliberismo ma anche come populismo di mercato: la ricchezza non deve essere toccata dai politici perché solo l’accumulazione della stessa consente poi di reinvestire in lavoro. Quindi non bisogna redistribuirla perché è preferibile consentire ai più forti di essere ancora più forti, di modo che un po’ dei frutti della loro energia sgocciolino in basso. Eppure ormai si è capito che il grosso dei profitti viene reinvestito in finanza non tassata e dunque non ritorna alla base sociale né in forma di lavoro né in forma di servizi. E gli investimenti in genere si delocalizzano dove possono rendere maggiormente.
Ma alla base del rifiuto generalizzato di giornali e politica di sposare la patrimoniale o la tassa di successione, c’è anche l’idea che non sia giusto che l’individuo si faccia carico dei problemi della collettività.

Christopher Lasch, in La rivolta delle élites (1995), spiegava come i nuovi aristocratici vincitori della lotta di classe all’inverso, a differenza dei nobili di sangue del passato, non sentono la responsabilità verso il resto della società, proprio perché ritengono che il loro status dipenda dai loro meriti e che chi sta indietro si è meritata la condizione di disagio.

Non solo infatti i soldi redistribuiti – nella logica neo-elitaria – non verrebbero resi produttivi da soggetti poco performanti, ma non sarebbero nemmeno meritati (con reddito di cittadinanza incondizionato, con tassazione progressiva o con patrimoniale). Si pensi invece a come, all’inverso, sulle rendite immobiliari ereditate nessuno abbia niente da ridire.

Spaventa poi il fantasma di un ceto medio vessato dal fisco. Ma è una post-verità: la proposta di Sinistra italiana andava ad incidere in modo infinitesimale nelle tasche di alcuni contribuenti, come questa di Letta non è certo rivolta alle eredità del cittadino medio. E perché gli alfieri di Confindustria (come berlusconiani e renziani) ripetono questo controfattuale mantra vittimario?

Perché essi temono che la patrimoniale possa essere l’inizio di più arditi provvedimenti redistributivi che mettano in discussione l’attuale modello di sviluppo. Eppure mentre l’aliquota di tassazione per eredità o donazioni superiori a 5 milioni di euro in Italia oggi è al 4 per cento (lo ha ricordato qualche giorno fa Gaetano Lamanna su questo giornale: grazie al secondo governo Berlusconi), in Germania, Spagna, Gran Bretagna e Francia è fra il 30 e il 45 per cento.
Il Movimento 5 Stelle sembra prigioniero del grande depistaggio cognitivo degli ultimi decenni. Parla di solidarietà e di diminuzione delle diseguaglianze, ma poi pensa che queste ultime possano venire a costo zero per chi sta meglio, per la taumaturgica azione dell’innovazione, degli aiuti all’impresa e dell’incremento della produttività.

Essi – come almeno fino a ieri il Pd, che non aveva ufficialmente appoggiato la proposta di Sinistra italiana – temono anche che la patrimoniale sarebbe impopolare presso i poteri forti da cui dipendono peraltro gran parte dei media.

È più dubbio invece che il provvedimento sarebbe impopolare presso l’elettorato se debitamente spiegato, dato che le architravi dell’egemonia, a livello di massa, segnano ormai il passo da qualche anno e le promesse di scintillante progresso per tutti, dispensate a cavallo del millennio, sono ormai prive di credibilità, almeno dalla crisi del 2008.

Infine, che la Lega e Fratelli d’Italia siano contrari alla patrimoniale o alla tassa di successione mostra con evidenza come la rappresentazione di una destra dalla parte del popolo, avversa alle politiche del grande capitale internazionale schiacciato sulle spalle degli italiani, sia una grande mistificazione (tassare i giganti del Web come dice Salvini ovviamente è sacrosanto, ma perché non anche i grandi patrimoni italiani?).

Le destre come sempre sono a favore della diseguaglianza e della gerarchia: puntello di un capitalismo nazionale che non sarà mai una soluzione ai danni di quello globale.