Edoardo Boncinelli è un genetista di valore. In un suo breve scritto, intitolato «Una favola vera» afferma che «nessuna favola può superare la meraviglia e gli avventurosi percorsi della realtà». Esalta la struttura della realtà come la più vasta e fertile delle fantasie, che può essere afferrata solo da una sperimentazione sorretta dalla più grande immaginazione. Sperimentare, dice, è diverso dal ragionare che può confutare ma non dimostrare, che penetra il già pensato e già conosciuto, che asserisce ciò che già sappiamo o crediamo di sapere. L’esperimento, invece, può sembrare arido ma è «rivoluzionario al di là dell’immaginazione»: «vanga le zolle e poi le rivolta» mettendo a nudo i lati nascosti delle cose.

Le affermazioni si susseguono dense di pensieri genuini, per trovare il loro centro di gravità in un attacco, tanto astioso quanto contraddittorio, agli esperti della psiche che con le loro «chiacchiere da salotto», che dispensano «pomposamente», rifiutano la sperimentazione, disprezzandola. I lettori sono esortati a ignorarli e ad ascoltare il dialogo tra i neuroni, l’unica verità ammissibile.

La animosità di tanti esponenti delle scienze naturali nei confronti degli esperti della psiche, ha due ragioni per esistere, tra loro complementari. La prima è l’inclinazione al dato certo che li mette a disagio con la sospensione del giudizio. L’altra è il desiderio della libertà che il «nemico» incarna (in modo spesso sopravvalutato) che è destabilizzante per la loro pretesa di verità certe e provoca una reazione di rigetto più viscerale. Tra gli esperti della psiche si verifica, a volte, una reazione opposta: la difficoltà di sostare in terreni incerti li porta a desiderare i dati, scolpiti nella pietra, della scienza «pura e dura». Cercano in essi l’effetto stabilizzante che calma le loro ansie e provano simpatia per coloro che li attaccano.

Nell’incrociarsi di un’inimicizia e di un’amicizia parimenti unilaterali, rischia di lasciare le penne il concetto di sperimentazione, il cui valore non consiste nella certezza o nella bellezza dei risultati ma nel suo stesso procedere. Questo, Boncinelli lo intuisce, ma il desiderio del risultato concreto lo tradisce e alla fine si rifugia nei neuroni, come se la sperimentazione avesse bisogno di prove sicure per esistere. Vuole la moglie ubriaca (la libertà) e la botte piena (la certezza).

La verità del nostro rapporto con la realtà non sta nelle formule definite della nostra comprensione (per quanto convincenti possano essere) ma nel movimento che le sottende e le trasforma. Dire che la realtà supera la fantasia, è dire che l’immaginazione ha uno spazio infinito a sua disposizione. Se per fantasia non intendiamo un ritiro difensivo dalla vita, nello spazio di un’ideazione autocratica, ma l’appropriazione delle cose nella loro potenzialità trasformativa, allora contrapporre i neuroni alla psiche significa imprigionare la fantasia in uno spazio angusto e ucciderla.

Sperimentare è immaginare i fatti come potrebbero accadere, il che conferisce profondità e ampiezza all’osservazione del come accadono, ed è questa capacità, che ci permette di usare le cose e non passare il tempo a evitare di sbatterci sopra, che fa dell’essere umano un essere «psichico».

La sperimentazione come dispositivo che coglie i fatti nella loro ripetibilità, collega la potenzialità all’effettivo accadere dei fatti e contrapporla all’immaginazione che sperimenta liberamente senza apparecchiature d’appoggio (oggetto conoscitivo privilegiato della psicoanalisi), è insensato, come tagliare l’albero su cui si è seduti.