Alfieri di un «queer pop» che sfugge ai generi e trova linfa nella trasversalità «liquida» del magma musicale, La Rappresentante di Lista è in gara per la prima volta a Sanremo – stasera sul palco dell’Ariston – con il brano Amare. Cavalcata electro-pop sostenuta dalla voce potente e fluviale della cantante Veronica Lucchesi. Insieme al polistrumentista Dario Mangiaracina, il duo ci ha raccontato del nuovo album My Mamma, in uscita il 5 marzo. Disco che segna un’ulteriore evoluzione nel loro percorso artistico, a partire da un bisogno di collettività che permea tutta la tracklist. «Dal disco precedente, Go Go Diva, a My Mamma abbiamo fatto un passo di consapevolezza» raccontano, quasi all’unisono, Dario e Veronica «Per la nostra “Diva” c’era la necessità di scoprire se stessa e parlare di sé ma già nell’ultima traccia, Woow, era chiaro il bisogno di visualizzare «l’altro».

«MY MAMMA» è una richiesta: di essere compresi, di essere rappresentati per potersi riconoscere. E non sentirsi nuovamente soli. Le fasi dell’individualismo e della collettività, anche nella politica, si alternano storicamente come onde e oggi probabilmente i tempi sono maturi per nuove forme di aggregazione. “Grazie” alla costrizioni e alla chiusura coatta durante la pandemia. Questo è anche il lavoro che abbiamo fatto con i nostri testi. Come rispondeva De Andrè, alla domanda sul perché era così attento alle sue liriche, ’Perché poi la gente mi crede’».
Il disco – a metà fra trip-hop, cantautorato e tentazioni elettroniche – sembra la fotografia in movimento di un futuro distopico, di una nuova società fondata sulle macerie di un patriarcato. Come sembrano suggerire brani intensi come Resistere e Oh Ma Oh Pa: «Ci è sempre piaciuto mischiare autobiografia e contenuti. Quel padre, quella madre sono anche i nostri. Ma il padre di Resistere rappresenta simbolicamente il patriarcato. In Oh Ma Oh Pa invece vengono fuori queste due figure che effettivamente sono il simbolo di un’eredità che ci viene lasciata e che, allo stesso tempo, iniziamo a dover lasciare. L’interrogativo è: Come lasciamo questa Terra? Cosa doniamo all’altro? E non parliamo necessariamente di un figlio. Quando abbiamo iniziato a scrivere il disco, i filoni politici ed etici erano già ben definiti e in tutti i brani si avvicendano dei ’personaggi’ che parlano di una nuova ’era fondativa’, nata dall’urgenza di ricostruire una società. Stiamo vivendo un’epoca particolare, ’laboratoriale’ in cui si stanno provando dei cambiamenti possibili. Anche nel lessico. Al tempo stesso cantiamo quello che non vorremo che accadesse».

È QUASI UN CANTO apotropaico, un rituale laico e tribale: «C’è sempre questo gioco fra gli opposti nei nostri testi. Come nel brano che portiamo sul palco dell’Ariston. Amare ha molteplici letture pur essendo una canzone radiofonica. Dai al tuo ascoltatore la possibilità di scegliere anche se poi, come è successo pochi giorni fa, ti ritrovi il dito puntato da una di queste associazioni “per” la famiglia. Offesa per il nostro definirci queer».

DUE PAROLE anche sulla scelta di avere Donatella Rettore come super ospite nella serata di domani: «Nel corso delle cinque giornate del festival volevamo mostrare anche un altro aspetto del nostro universo musicale. Amare è la faccia più emotiva e appassionata, Splendido splendente è invece la parte esplosiva. Con la musica di Rettore sentiamo parecchie affinità, è un po’ la madre putativa di tutti i cantautori che usano parole strane e genderless. In quella, come in altre sue canzoni, si stravolge il lessico, si parla d’amore e lamette, di fluidità, di individui “senza sesso”. Ci interessava proprio questo suo aspetto anticonformista e innovativo».