Chi si ricorda di Alessio Butti? Rimasto fuori dal parlamento per l’infelice scelta di passare con Fratelli d’Italia, ebbe il suo momento di gloria come capogruppo Pdl in commissione di vigilanza Rai. Portava infatti il suo nome la bozza con la quale Berlusconi avrebbero voluto imbrigliare i programmi sgraditi. Una serie di ferree quanto deliranti regole per i conduttori e persino per il pubblico in studio (composizione, comportamenti consentiti…). Nella lista nera c’era la Raitre di allora, più il solito Santoro.

Con il governo Berlusconi cadde anche la bozza, alcuni conduttori trasmigrarono a La 7, Butti non fu rieletto. Ma a portare avanti la battaglia contro Raitre chi arriva? Il Pd di Renzi, in teoria partito di riferimento della rete. Se non fosse che per l’attuale inquilino di palazzo Chigi quella che un tempo era la «riserva indiana» puzza troppo di vecchia sinistra, di «ditta». E di sfiga, perché nella messa cantata talvolta si permette di stonare mostrando un’Italia distante dalla favola renziana.

Anche l’attuale premier ha il suo Butti. Si chiama Michele Anzaldi, ex portavoce di Rutelli, che della commissione di vigilanza è segretario. Il suo ruolo lo interpreta con il massimo zelo fin dagli albori del governo Renzi. A marzo 2014 scrisse all’allora presidente della Rai Tarantola, trasecolando: «Gentile presidente, mi permetto di chiederle se condivide l’imitazione di Maria Elena Boschi a Ballarò e se ritiene opportuno che un ministro giovane, che finora ha dimostrato preparazione e capacità, sia ritratta come una scaltra ammaliatrice». A Ballarò c’era ancora Floris, l’imitatrice era Virginia Raffaele, Boschi giurò che lei con la lettera di Anzaldi non c’entrava niente. Passano nemmeno due mesi, ed ecco che Piero Pelù dal palco del concerto del primo maggio si lancia in un’invettiva contro Renzi, «boy scout di Licio Gelli». Figurarsi, Anzaldi non si fa pregare, sollecita l’intervento della vigilanza, chiede di multare la Rai e pure Pelù, va avanti per giorni (senza grandi risultati). Più recentemente, a luglio, dopo le dimissioni di Varoufakis dal primo governo Tsipras, chiede di convocare in vigilanza la direttrice del Tg3 Bianca Berlinguer. Motivo? «Un servizio riferisce i commenti entusiastici dell’operatore tv all’indirizzo di Varoufakis». Non pago, suggerisce all’Ordine dei giornalisti di «valutare l’episodio». Durante la campagna elettorale per le ultime regionali provò a impedire a Fabio Fazio di ospitare Berlusconi. L’anno prima – europee – intimò alla Rai di non trasmettere il comizio di Grillo.

Anzaldi spesso attacca da solo ma non per questo si può liquidare il suo come eccesso di zelo. Ora che Renzi in persona ha dichiarato guerra ai talk, evidentemente si sente ancora più coperto. Così al Corriere della sera di ieri il deputato spiegava senza giri di parole: «C’è un problema con Rai3 e con il Tg3, sì. Un problema grande, ufficiale. Purtroppo non hanno seguito il percorso del Pd: non si sono accorti che è stato eletto un nuovo segretario, diventato anche premier. Il Pd viene maltrattato e l’attività del governo criticata come nemmeno ai tempi di Berlusconi».
Ai tempi di Berlusconi di fronte a affermazioni simili il Pd avrebbe gridato all’emergenza democratica. E invece ieri, con Alzaldi che intimava al direttore di Raitre «l’importante è che Vianello non faccia altri errori», il cdr del Tg3 che respingeva «editti bulgari di berlusconiana memoria» e i sindacati che tuonavano, niente. Nessuna correzione del tiro, da parte dei renziani. Anzi, la rivendicazione: «Macché censura, urge pluralismo». Mentre Grillo inveisce, Sel protesta e solo in due della minoranza dem, D’Attore e Fornaro, prendono le distanze. E Daniela Santanchè difende Raitre…