Malgrado il dress code sia pressoché obbligato dalla vicinanza con le aule parlamentari da cui proviene buona parte del pubblico, gli altri sono soprattutto giornalisti e cameramen, tra il blu e il grigio fumé d’ordinanza c’è spazio per battute veraci e saluti più che calorosi: c’è chi si lancia perfino nel «saluto del legionario», la stretta dell’avambraccio adottata da sempre dai «camerati».

NELL’ATMOSFERA AUSTERA della Biblioteca Angelica, la prima in Europa ad essere stata aperta al pubblico già nel XVII secolo, circondati da decine di migliaia di volumi antichi e preziosi, l’appuntamento con la cultura della nuova destra di governo ha qualcosa della festa pagana. C’è un clima di famiglia, di figure che si ritrovano per l’ennesima volta – diversi gli eletti di Fratelli d’Italia presenti -, anche se il contesto stavolta è mutato.

Paradossalmente, per chi sostiene la svolta nazionalista in atto, sobriamente ribattezzata come «sovranista», l’officiante viene da oltre oceano anche se sembra aver fatto del nostro paese una sorta di patria d’elezione.

Dopo aver lasciato la corte di Donald Trump, che ha contribuito a far eleggere anche grazie ad una campagna social di inedita intensità e ferocia, e aver lanciato un progetto che vorrebbe federare i nazionalpopulisti europei, The Movement, con base a Bruxelles, Steve Bannon ha finito per passare sempre più tempo tra Roma e la Certosa di Trisulti, nel frusinate. Qui, tramite il think tank Dignitatis Humane Institute – onnipresente, al fianco di Bannon, anche ieri, il fondatore, Benjamin Harnwell – e malgrado la crescente contrarietà della popolazione locale che ha manifestato in tal senso anche di recente, dovrebbe sorgere una «scuola internazionale di sovranismo» dove formare figure da inviare poi nei diversi paesi.

E come in una scuola quadri, puntuali e deferenti, alcuni protagonisti della Rai gialloverde – il direttore del Tg2, Gennaro Sangiuliano, il membro del Cda Giampaolo Rossi e Alessandro Giuli, editorialista di Libero e tra i conduttori del talk di Rai 2 Povera Patria, accanto alla giornalista di Mediaset Maria Luisa Rossi Hawkins – hanno celebrato ieri il Bannon-pensiero in quella che era stata presentata come un’«intervista» a più voci.

Se il diretto interessato non ha dubbi sul fatto che proprio l’Italia costituisca oggi il principale laboratorio politico del sovranismo in tutto l’Occidente – «Il vostro è l’esperimento più importante, da qui può partire la rivoluzione», aveva detto solo la scorsa estate intervenendo nella capitale alla festa di Atreju alludendo sia al governo gialloverde che al suo possibile rimpiazzo da parte di un esecutivo «a tutta destra» – questa nuova occasione serve a ribadire il concetto.

Certo Steve Bannon guarda principalmente «ai Salvini, Orbán, Le Pen» e a quei movimenti «populisti, nazionalisti, tradizionalisti» che a suo giudizio il 26 maggio potrebbero cambiare per sempre il volto dell’Europa nel nome della «difesa della civiltà giudeo cristiana» ma anche della «centralità dello Stato nazione».

Ciononostante, continua a definire l’esecutivo tra 5 Stelle e Lega come «un esperimento nobile», che a suo dire è stato preso a modello, specie per le forme comunicative adottate in campagna elettorale, da un altro «eroe» del nazionalismo montante, che della consulenza di Bannon si è avvalso per la sua fortunata corsa presidenziale, come Jair Bolsonaro.

L’ex guru di The Donald è comunque prodigo di consigli nei confronti del governo di Roma, ad iniziare da quello di andarci cauti – ancora una volta in linea con Salvini – con gli accordi con Pechino, definito tout court come un «regime rapace», il «vero nemico» dell’Occidente che punta a dominare in ogni senso.

Un avversario di fronte al quale anche Papa Francesco – sostiene ancora Bannon che vanta solidi appoggi tra la destra vaticana – si è arreso «consentendo che sia lo stato cinese a scegliere i suoi vescovi».

DOPO IL LUNGO «COMIZIO», anche con «l’intervista» i toni non cambiano. Se Giuli interroga Bannon su quale «vessillo» – reale e simbolico – i nazionalisti debbano oppore al blu stellato della Ue, «la bandiera meno sexy della storia» e Rossi cita l’uso dei social da parte dei sovranisti nostrani, suscitando la già ricordata citazione di Bolsonaro, Sangiuliano pare voler soprattutto blandire l’illustre ospite. Prima cita Dostoevskij a proposito della definizione di «populismo», quindi chiama in causa «gli otto uomini più ricchi al mondo che sono tutti liberal e di sinistra», infine si interroga sulla proposta di Bezos di imporre un braccialetto elettronico ai dipendenti di Amazon, chiedendosi se «le élite globaliste» non vogliano affibbiare ai cittadini un codice a barre».

Inutile forse aggiungere che un Bannon gongolante si gode così una popolarità che nemmeno negli Stati Uniti ha forse mai raggiunto davvero.

Solo qualche giorno e ancora una volta a Roma si misurerà con Carlo Calenda sul tema «Sovranismo vs Europeismo».