Nelle baruffe chiozzotte sul futuro della Rai, in cui si sfidano al momento, la speranza non muore mai- ricette dibattute vent’anni fa, è curioso come i cultori della materia non si siano resi conto che il destino ha già deciso. Nella vicenda dei diritti televisivi del calcio il servizio pubblico è già uscito di scena. La gara vede due soli contendenti: Sky e Mediaset. «Che botte quella notte…» cantava Fred Buscaglione e quel famoso motivo sembra la colonna sonora della contesa.

Il calcio rappresentato in televisione (ma ora pure su diverse piattaforme, ecco un nodo della controversia) è uno dei generi che attribuiscono il successo a un broadcaster o a un altro: parliamo di grandi numeri negli ascolti, non di nicchie. Del resto, il calcio fa parte delle grandi cerimonie dei media, ben descritte dal pregevole volume dei sociologi Katz e Dayan (1992). Quasi una religione laica, il calcio trova la sua sublimazione nel consumo domestico, dove assurge a metalinguaggio e simbologia di potere. Ecco perché periodicamente si ripropone la lotta senza esclusione di colpi per accaparrarsi i campionati.

La Champions League per il periodo 2015-2018 è già appannaggio di Mediaset. L’analogo triennio per il campionato di calcio italiano è l’oggetto del desiderio sul quale menano fendenti e relativi pareri giuridici il gruppo di Murdoch e il biscione berlusconiano. L’offerta di Sky è altissima -2.370 miliardi di euro- e Mediaset ha difficoltà a starvi dietro. Cifre stratosferiche, che chiariscono che il valore di mercato vale solo per i meno abbienti. Nell’empireo del Capitalismo simulato denaro e prezzo appartengono a negoziati convenzionali, forte essendo la spinta degli attori in scena a farsi il mercato ad uso e consumo.

Senza il calcio la televisione sarebbe indebolita; senza televisione il calcio crollerebbe sotto i suoi debiti. La tragi-commedia va avanti, finché qualcuno non dirà che il re è nudo. La Lega calcio, però, sembra disorientata dall’affondo di Sky e prende tempo. E già, perché in questa avventura sta cambiando la geopolitica dei media italiani, con un nuovo duopolio suddiviso tra Sky e Mediaset, in luogo di quello (delle due Repubbliche precedenti) tra Rai e gruppo di Segrate. Anzi, Murdoch pronto a prendere il posto di comando, dopo l’acquisizione di cinque canali digitali terrestri da Telecom. Ed è previsto persino un incontro tra la società anglo-australiana e il presidente del consiglio Renzi. Murdoch appoggia chi vince, come accadde in Gran Bretagna con Blair, salvo gli incidenti di percorso.

Ecco, attorno ai diritti di trasmissione del dio-pallone si sta svolgendo una piccola grande guerra, decisiva per gli equilibri futuri. Chissà come finirà il match in corso, se l’avrà vinta Sky con la potenza economica dell’offerta messa in campo (per le otto squadre in grado di totalizzare l’86% dello share tanto per il satellite quanto per il digitale), o riemergerà in zona Cesarini Mediaset. Che, per la legge del contrappasso, ha dovuto ricorrere a quel po’ di antitrust in vigore in Italia. Si tratta delle leggi n.106 del 2007 e n.78 del 1999,entrambe volute e varate dal centrosinistra. In base a quei dispositivi non si possono conseguire posizioni dominanti, al di là delle piattaforme distributive utilizzate.

Che dicono nel frattempo le autorità competenti, l’Antitrust e quella per le garanzie nelle comunicazioni? Attorno al calcio si è sempre giocata l’egemonia televisiva. Fu così con l’acquisizione dei diritti da parte di Canale 5 del «mundialito» nel 1981, tappa decisiva per la costruzione dell’impero berlusconiano. La storia si ripete, ma ora senza la Rai.