Qualche ruga, certo, e il segno degli acciacchi della vecchiaia, ma ancora bellissima, come quando l’avevo conosciuta negli anni ’50. Così ho visto due anni fa per l’ultima volta il Grand’Ufficiale Marisa Ombra (così è stata decorata),in occasione del ricevimento al Quirinale che il Presidente della Repubblica riserva l’8 marzo alle donne che, per una ragione o per l’altra, rientrano nella categoria di quelle che, chi più chi meno, hanno segnato la storia del nostro paese. La sola occasione dove non sono, come ormai sempre, la più vecchia.

ANCHE RISPETTO a Marisa ero più giovane, sia pure di poco più di un paio d’anni. Quel poco di maggiore anzianità, ma innanzitutto uno straordinario coraggio, che le hanno consentito di aver fatto davvero la storia di Italia, la sua pagina più bella: la Resistenza. Come giovanissima staffetta partigiana in una delle zone dove più intensa e diffusa fu l’azione delle Brigate Garibaldi, le Langhe.

A BATTERE A MACCHINA su una vecchia Remington giornali e volantini, poi riprodotti al ciclostile, Marisa – appena quindicenne – l’aveva imparato da suo padre prima ancora dell’8 settembre, perché è nella cucina della loro casa di Asti che si stampavano artigianalmente i fogli necessari a preparare i grandi scioperi antifascisti del ‘marzo ’43. Arrestato il padre, poi liberato dalla prigione e da allora nei reparti partigiani, Marisa la madre e la sorella si rifugiarono nelle Langhe per sfuggire alla rappresaglia fascista.

Ma tutte e tre restarono coinvolte nella battaglia, un esempio significativo di quel che lo storico Roberto Battaglia ha scritto a proposito della Resistenza, che chiama “società partigiana” per sottolineare che non fu solo lotta dei reparti armati ma autorganizzazione di una società che si voleva “altra”, che coinvolse donne vecchi ragazze in un impegno solidale. È in questo contesto che prende le mosse il primo embrione di quello che diventerà poi il femminismo: i “Gruppi di difesa della donna”, in cui Marisa fu subito attiva. Il titolo era sbagliato, perché le donne già difendevano sé stesse e gli altri, non erano solo chi doveva esser difeso. E infatti proprio quell’associazione – come ebbe a scriverne Marisa molto tempo dopo – aprì la strada alla presa di coscienza dei diritti delle donne.

Marisa ne fu consapevole da allora, una maturazione cresciuta nelle lunghe marce fra la neve, di notte in qualche stalla di contadini amici, o all’addiaccio nelle vigne, trattenendo il respiro ad ogni rumore, pronta a recitare la parte di una sfollata per nascondere le carte che recava e che l’avrebbero, se scovate, sottoposta alla tortura delle brigate fasciste o delle pattuglie tedesche.

IN UNO DEI SUOI LIBRI del dopoguerra racconta che il 25 aprile, quando il conflitto finisce, sentì, nonostante la gioia per la vittoria e la pace, una qualche malinconia: era finita quella straordinaria trasgressione che era stata per le donne la partecipazione alla Resistenza.

Marisa non tardò a ritrovare l’impegno politico e fu funzionaria del Pci per molto tempo. Ne fu allontanata per via di qualche dissenso politico manifestato nel ’56, ma anche, credo, perché si era unita a un compagno, poi mio collega a Paese Sera, già sposato. Il divorzio non c’era ancora e il Pci temeva che, specie nelle zone rurali più conservatrici, ci fosse incomprensione e fiorissero le accuse democristiane ai comunisti di essere “di facili costumi”.

E così ci trovammo con Marisa all’Udi, che, in quegli anni, accoglieva le compagne disubbidienti, come lei e anche me dopo l’XI congresso del Pci, quando tutti gli “ingraiani” furono mandati a lavorare fuori dal sacro palazzo delle Botteghe Oscure. L’Udi era organizzazione di massa, condivisa come molte altre allora con le socialiste, e dunque in qualche modo zona franca. Debbo dire che sono grata a questo esilio che mi fu imposto perché l’Udi è stata una gran bella esperienza e luogo di incontro con donne straordinarie cui sono rimasta molto legata: fra queste Marisa Ombra.

IN UN ANGOLO dei saloni del Quirinale, quell’8 marzo di due anni fa, restammo a chiacchierare a lungo con Marisa. Era parecchio che non ci incontravamo. Mi raccontò della sua più recente esperienza come vicepresidente dell’Anpi, un ruolo che si meritava ed è stato importante per l’Associazione perché Marisa Ombra ha reso più evidente il contributo delle donne alla Resistenza. Tornammo anche a riparlare della Bolognina, perché anche lei, allora, non era entrata nel partito che era succeduto al Pci.

Ricordo quell’8 marzo al Quirinale anche per un’altra ragione: per la risposta data da Lidia Menapace a una giornalista che l’intervistava, presentandola come «ex partigiana». E lei rispose: «Scusi, io sono ancora partigiana». Un bella risposta, valevole per molte partigiane, rimaste partigiane. Così era anche Marisa, fiera e combattiva.