Celeste Caeiro, minuta, occhi vivacissimi, 86 anni il prossimo maggio – «anche se sarei voluta nascere il primo» – è per i portoghesi di ogni età «la signora dei garofani», la donna il cui gesto di donare un garofano ai militari in rivolta il 25 aprile 1974 diede appunto il nome alla stessa rivoluzione. Ovviamente, sceglie lei dove incontrarci, e ci troviamo così, nel sole di un pomeriggio primaverile di Lisbona, a un tavolino in una piccola piazza di una delle parti alte della città, proprio di fronte a una caserma della Guardia Nacional Republicana. Il Tago, il vecchio fiume, è invisibile dietro i palazzi. È tutt’altro che un caso, questa scelta, anche se la folla indolente dei turisti seduti ai chioschi vicini, in una Lisbona non più decadente, ma vivace città alla moda, il chiasso dei locali del vicino Bairro Alto e delle boutiques dello Chiado, sembrerebbero aver sfocato il ricordo di quell’altra folla che, proprio qui, 45 anni fa, si riuniva insieme ai giovani militari progressisti del Movimento das Forças Armadas per mettere fine alla più lunga dittatura europea, quella dello Estado Novo portoghese, e alla nascita del nuovo Portogallo democratico. Siamo al Carmo, là «dove vanno tutti i fiumi», come ancora capita di vedere scritto sul qualche muro della città.

I FIUMI, appunto, di militari e semplici cittadini, che le foto d’epoca ricordano ancora, nello stupore di quel giorno, come lo ricorda una piccola targa vicino la storica fontana e i ruderi dell’antica chiesa. E tra tutte le foto ce n’è una, in particolare, che si ritrova in tutti i libri di scuola proprio accanto al nome di Celeste Caeiro, a testimonianza dell’unica rivoluzione avvenuta senza spargimento di sangue, come forse altrimenti non poteva accadere, per un Paese che si vuole «dai costumi blandi», anche se la violenza c’era e c’è eccome, silenziosa e sfuggente agli occhi pubblici. La foto ritrae giovani militari con un garofano rosso sulla canna dei fucili.
Era un giorno come tanti altri, ricorda Celeste. Per lei, il giorno in cui un ristorante, quello dove lavorava, avrebbe dovuto festeggiare il suo primo anno di vita, offrendo garofani ai suoi clienti: «Era stato inaugurato il 25 aprile del 1973, e i proprietari volevano festeggiare l’anniversario». Al Mercado da Ribeira, storico mercato di Lisbona, il gestore compra quindi dei garofani, rossi e bianchi. «Il 25 aprile del 1974, come d’abitudine, andai a lavoro, entravo presto, verso le otto, otto e mezzo». Celeste trova però i colleghi e il proprietario sulla porta. Qualcosa, nella routine, cominciava a girare in senso diverso. Il ristorante, il primo self-service di Lisbona, non apriva: un colpo di stato, si dice.

LA MACCHINA del golpe rivoluzionario era in realtà in moto da alcune ore, ma alle otto del mattino nessuno sapeva ancora cosa stesse davvero accadendo. Verso le undici della sera precedente, infatti, il segnale concordato per la sollevazione era riecheggiato alla radio Emissores Associados de Lisboa sulle note della canzone popolare E depois do Adeus di Paulo de Carvalho. Infine, a mezzanotte e venti, il segnale decisivo, quando Radio Renascença trasmette Grândola Vila Morena di Zeca Afonso. I giovani capitani progressisti Salgueiro Maia e Otelo Saraiva de Carvalho, sotto l’occhio attendista dei superiori e di una politica consapevole ormai che il vecchio regime ha le ore contate, sfidano apertamente il castello di carte dello Estado Novo, nato nell’ormai lontano 1932 con la salita al potere di un brillante e compassato professore di economia di Coimbra, António Oliveira de Salazar.
Di quegli anni, Celeste Caeiro racconta dei parenti imprigionati «senza aver fatto nulla», così come degli scioperi dei lavoratori, della tabaccheria del Senhor Domingos, in cui lavorava, ritrovo degli scrittori di sinistra, in cui si nascondevano i libri proibiti, che lei stessa cercava di nascondere agli agenti della Pide, la polizia segreta. Si stringe la mano al petto: «Avevo la sensazione che tutto questo doveva cambiare, ed è cambiato». Una «rivoluzione pacifica», appunto, quella portoghese, «e se devo dire cosa è stata la libertà, per noi è stato questo, innanzitutto poter parlare, e poi non fare più la fame». Perché è stata una vita difficile quella di Celeste: proveniente da una famiglia dell’Alentejo, regione «rossa» del Portogallo e teatro delle lotte bracciantili, poi cresciuta in orfanotrofio – «già dentro di me c’era una rivolta» – abbandonata dal marito, è nel ’74 madre di una bambina piccola. Celeste si ritrova così a fare tutti i lavori possibili: sarta, tabaccaia, cameriera, guardiana. Trent’anni fa perde persino la casa nel grande incendio che distrugge il centrale quartiere dello Chiado.

TORNANDO A QUEL GIORNO, gli impiegati del ristorante vengono mandati a casa con i fiori ormai inutili. Garofani, rossi e bianchi. «Con una mia collega andammo a prendere la metropolitana». All’amica, che le raccomandava «di andare subito a casa, da mia madre e mia figlia, di non mettermi in situazioni complicate», Celeste rispondeva secca: «C’è la rivoluzione e io vado a casa? È così tanto tempo che l’aspetto». E ride, ancora adesso. È così che, uscendo dalla metropolitana proprio in Rua do Carmo, a due passi da dove siamo ora, Celeste si accorge dei carri armati, e va incontro ai militari. Qui, il racconto storico, che vorrebbe che fosse stata la stessa Celeste a mettere un garofano nella canna di un fucile, si allontana dalla sua verità. «Pensi che piccolina per come sono sarei potuta arrivare all’altezza di un soldato?». Un militare le spiega di essere lì dalle tre del mattino, e che proprio nella Caserma del Carmo si era rifugiato Marcelo Caetano, l’ultimo dittatore. Alla richiesta di una sigaretta, Celeste – si emoziona – risponde di non avercela: «Ma ho qui questi fiori, questi garofani». «Ne presi uno, e lui lo accettò». «Lo accettò», ripete, e le brillano ancora gli occhi, a Celeste. «E lo mise nella canna del fucile, poi lo diedi all’altro, e agli altri di seguito».
Tutti i militari, sull’esempio del primo, mettono il loro garofano nella canna. «Li diedi tutti, per me non ne rimase nessuno». Solo a casa, Celeste viene a sapere del buon esito della rivoluzione. «Non si vedeva ancora nessuno, e io non sapevo ancora nulla». Nel frattempo, i garofani sembrano diventare, per le strade, prima ancora che un simbolo, uno scongiuro. Li si compra dove possibile, «dalla fioraia della piazza di Rossio», e Celeste confessa alla madre spaventata di essere stata lei a darli per prima: «È una cosa pacifica, nessuno spara».
Nei giorni seguenti la vita torna rapidamente alla normalità, ma per poco, perché alla radio si cerca la persona che per prima aveva dato i garofani ai militari. È così che Celeste Caeiro diventa un caso nazionale, e il simbolo stesso della rivoluzione: «Ogni 25 di aprile i proprietari del ristorante mi davano un giorno di ferie». Sul Largo do Carmo comincia ad arrivare un po’ di freddo. «È vero che forse in altri Paesi non si sarebbe fatta una rivoluzione con dei fiori». Con la pensione, Celeste si avvicina al Partito comunista portoghese, e comincia a fare politica attiva. Comincia a visitare le scuole, «anche se è più difficile raccontare ai bambini». Racconta di quella volta che lo stesso Cardinale di Lisbona si fece raccontare la storia: «fu come una ispirazione divina», le disse. E di quell’altra volta che i Capitani di Aprile, che la chiamano puntualmente a ogni compleanno, fecero un pranzo e che «Salgueiro Maia disse che ora dovevano essere i militari a restituire i garofani a Celeste». Così come di Otelo Saraiva de Carvalho, il vecchio capitano del Processo rivoluzionario in corso, che, malato, chiede di lei.
C’è un prima e c’è un dopo: «Sembravamo altre persone, è la vita stessa che è cambiata». Celeste Caeiro, «donna dei garofani di aprile», «che hai ammainato la guerra, e la guerra è stata senza sangue», come recita la poesia dedicatale da Rosa Guerreiro Dias, è, per caso, nei libri della grande storia portoghese, e come lei stessa dice, «poteva essere stato chiunque altro, quel giorno, ma è come se i garofani di aprile fossero stati conservati per me». Forse il pensiero di ogni portoghese, quel 25 aprile: libero per caso, e per scelta.

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SCHEDA: Contro la dittatura dello Estado Novo

È il 25 aprile del 1974 quando il regime autoritario che aveva dominato il Portogallo per quarant’anni, lo Estado Novo, dalla salita al potere, nel 1932, di António Oliveira de Salazar, viene abbattuto da una sollevazione dei quadri intermedi dell’esercito, i «capitani», comandati da Otelo Saraiva de Carvalho e Salgueiro Maia. A Salazar era nel frattempo succeduto Marcelo Caetano: ed è proprio il governo presieduto da quest’ultimo che, rinchiuso nella Caserma del Largo do Carmo, a Lisbona, viene assediato dalla folla e dai militari nelle ultime, concitate ore dalla giornata, quando le trattative porteranno Caetano all’esilio e il Portogallo alla proclamazione di un regime compiutamente democratico. Seguirà la liberazione e il ritorno in patria dei principali leader delle opposizioni di sinistra. Solo nel 1976 però, dopo due anni di difficile transizione – il periodo sarà definito «Processo rivoluzionario in corso» – dominati dall’attivismo di militari di estrema sinistra e da figure come Vasco Gonçalves, oltre che dal processo di decolonizzazione, verrà approvata la nuova Costituzione e si terranno le prime elezioni, vinte dal Partito socialista di Mario Soares.