Si dice che le politiche di austerità ammazzeranno il paese. Già fatto. Sembra un cadavere l’Italia radiografata dal rapporto Istat 2014, un paese incapace ridistribuire ricchezza, dove la disoccupazione è ai massimi storici con più di 6 milioni di persone senza lavoro, dove più che emigrare ormai si scappa – sia gli italiani che gli stranieri – dove i poveri aumentano e milioni di persone non hanno di che sfamarsi. Un paese sempre più vecchio dove non nascono bambini.

Detta con una considerazione che le comprende tutte, spiega l’Istat, “l’Italia è uno dei paesi europei con la maggiore diseguaglianza nella distribuzione dei redditi”. Il fallimento di qualsivoglia democrazia. I dati indicano anche “deboli segnali positivi”, ma è solo un mezzo punto di crescita che dopo anni di crisi conferma il declino di un paese strangolato da tutti i governi, passati e presenti.

Tra disoccupati cronici, e persone che secondo l’Istat sono inattive ma più vicine al mercato del lavoro, la somma è presto detta: sono 6,3 milioni le persone in cerca di una occupazione. Un record storico, dentro cui si individuano 1 milione e 427 mila “scoraggiati”, cioè persone che un lavoro non lo cercano più. I giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano (i cosiddetti Neet) sono 2 milioni e 435 mila (576 mila in più rispetto al 2008). Ma se per giovani si intendono gli under 35, allora nei cinque anni di crisi gli occupati sono scesi di 1 milione e 803 mila unità; le differenze territoriali sono molto marcate (al nord il tasso di occupazione giovanile è pari al 50%, contro il 43,7% del centro e il 27,6 del sud).

L’altra categoria mortificata, i cinquantenni, è vittima di un paradosso: se da una parte gli over 50 che hanno un lavoro aumentano statisticamente (ma solo per effetto dell’inasprimento dei requisiti per andare in pensione) dall’altra sono oltre un milione quelli che non riescono più a rimediare una forma di reddito. Significa che nel 2013 almeno 2 milioni di famiglie non hanno al loro interno né un occupato né un pensionato, cui bisogna aggiungere 1 milione di famiglie composte da più persone mantenute unicamente da una pensione da lavoro: 3 milioni di famiglie in difficoltà.

Altro dato significativo: tra il 2008 e il 2013 le famiglie in cui l’unico occupato è donna sono aumentate di 591 mila unità (+34,5%), superando i 2,3 milioni. Se la passano appena poco meglio i cosiddetti “atipici”, quelli che non hanno il posto fisso: più della meta ha un contratto che dura meno di un anno e per molti (20%) la precarietà si è cronicizzata da cinque anni. Infine, “particolarmente grave”, sottolinea l’Istat, l’aumento dei genitori disoccupati: tra il 2008 e il 2013 si registra un aumento di 530 mila persone tra padri e madri che non riescono più a mantenere i figli.

Dato il quadro, la fuga è logica conseguenza. Nel 2012 hanno cercato “fortuna” all’estero oltre 26 mila giovani tra i 15 e i 34 anni (10 mila in più rispetto al 2008); negli ultimi 5 anni sono scappati in 100 mila. “Il numero di emigrati italiani – si legge – è pari a 68 mila unità, il più alto degli ultimi dieci anni, ed è cresciuto del 35% rispetto al 2011”. Rimane invariato ma costante il dato della migrazione interna: 87 mila persone all’anno lasciano il sud per cercare lavoro nel nord. La crisi allontana anche gli immigrati dall’Italia: nel 2012 gli ingressi sono stati 321 mila (-27,7% rispetto al 2007), mentre aumenta il numero di chi lascia il paese (+17,9%).

Non si fanno figli. Nel 2013 sono nati 515 mila bambini, circa 64 mila in meno in cinque anni e 12 mila in meno rispetto al minimo storico delle nascite registrato nel 1995. Le donne italiane in età feconda fanno pochi figli, in media 1,29 per donna. Il calo delle nascite riguarda anche le donne straniere, pur rimanendo su livelli di fecondità più elevati (2,37). Infine, l’Italia si conferma uno dei paesi più vecchi al mondo. Si contano 151,4 persone over 65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni (solo la Germania ha un valore più alto, mentre la media europea è di 116,6). La speranza di vita, nel 2012, è arrivata a 79,6 anni per gli uomini e a 84,4 per le donne. C’è da rallegrarsene, e nello stesso tempo di che essere molto preoccupati.