Dante Alighieri, morto troppo presto per conoscerla, avrebbe certamente collocato la radio nel suo Paradiso. Tanto è «calda» (McLuhan docet) la capacità del piccolo grande medium di cambiare, di trasformarsi in modo camaleontico in ogni contesto sociale e tecnologico.

Doveva soccombere con l’avvento prepotente della televisione e, invece, quest’ultima per sopravvivere ha mutato molti abiti di scena, fino ad assumere le sembianze di un flusso social e spesso abusando delle dirette Facebook.

Mentre la radio è sempre lì, basandosi su una sostanza dal valore irripetibile: la voce unita alla fantasia, dove le immagini diventano come le vogliamo. Sogni e non mero realismo.

I supporti mutano, l’era digitale ha fatto la rivoluzione del DAB (Digital Audio Broadcasting), l’ascolto cambia durante la giornata come un saliscendi vorticoso, la programmazione ha rotto il palinsesto fin dall’avvento dell’epoca commerciale.

Tuttavia, la resistenza continua e il tempo non riesce a corroderla. Internet ha portato alla scoperta della Web radio, in cui la rete è puro complemento.

La conferma di tutto questo viene da un’interessante ricerca condotta dalla società «GfK» per conto del «Tavolo editori radio» (TER) dal 27 gennaio al 5 aprile scorsi, nel periodo del Covid-19.

Tra le conseguenze della pandemia in corso, com’è noto, vi è la fortissima contrazione dell’uso dell’automobile, luogo di elezione per la fruizione – soprattutto mattutina – della radio.

Il 67,4% della popolazione utilizza meno l’auto dopo l’entrata in vigore delle misure restrittive. E la percentuale di chi lavora fuori casa è scesa del 57%. Si poteva immaginare un crollo del grazioso e duttile apparecchio. E invece no. La lotta continua.

Se l’audience è stata scalfita del 17% nell’insieme e del 19,1% tra coloro che si sintonizzano almeno una volta alla settimana, dopo il lockdown la durata della fruizione è aumentata del 33,5% e nella strisciata degli ultimi setti giorni del 36,4%.

Per non dire di quanti sono costretti ad andare tuttora in macchina (+34,2%). Il 70,9% si sintonizza, ovviamente, a casa. Ma, ecco la novità non banale nell’ascolto: gli apparecchi classici e neo-classici (FM e DAB) passano da 39,1% a 43,3%; telefono cellulare e smartphone da 25% a 27,6%; televisione da 19% a 26,4%; computer da 10,6% a 12,5%; tablet da 3,3% a 4%.

E l’accesso a siti e app cresce notevolmente e si evidenzia una certa varietà generazionale senza clamorose differenze.

Non solo. Aumenta del 15% anche la quota che ritiene la radio affidabile e credibile nel dare le notizie. In una stagione di per sé drammatica e irta di fake non è affatto poco.

Insomma, l’emergenza potrebbe pure in tale ambito segnare una rottura di continuità dei e nei comportamenti e caratterizzare un’ennesima (affascinante) resurrezione della radio. Tra l’altro, un consumo così cross-mediale e composito apre ulteriori scenari.

Sarà la radio a fare da caposcuola nell’infosfera, piuttosto che mezzi più potenti ma troppo incombenti e autoreferenziali. La maestra della ri-mediazione trascinerà mode e tendenze?

Signore e signori, dunque, la radio non visse solo due volte: è il domani che non muore mai, per evocare James Bond.

Parlare di radio, però, fa venire il magone. Lo scorso 17 aprile è passato un anno dalla scomparsa del compianto Massimo Bordin, direttore dal 1991 al 2010 di Radio Radicale e conduttore di un’imperdibile rassegna stampa. Anzi.

Quest’ultima trasmissione, così autenticamente radiofonica, rimarrà nella Hit Parade dei programmi di sempre. Perché la radio è una voce e la voce trascina i nostri sensi.