Il dottor Gava radiato dall’ albo non potrà più esercitare la professione «vita natural durante». Se dopo cinque anni dalla radiazione egli avrà dimostrato di aver avuto un comportamento ineccepibile e avrà ottenuto la riabilitazione allora potrà chiedere la re-iscrizione all’albo e all’ordine e tornare ad esercitare.

In genere prima di arrivare a comminare una pena così pesante, se non vi sono reati gravi, l’ordine si avvale di altre tipologie disciplinari: l’avvertimento cioè il richiamo a non ricadere più nella mancanza commessa, la censura cioè una dichiarazione di biasimo per il comportamento tenuto; la sospensione da un minimo di 1 mese ad un massimo di 6 mesi.

La legge professionale non individua una specifica sanzione per ogni specifica infrazione, ma lascia libero l’ordine di determinare la sanzione secondo criteri di adeguatezza e proporzionalità.

Temo che l’ordine dei medici di Treviso nel condannare il dottor Gava reo, da quello che abbiamo letto, di avere delle proprie idee sui vaccini, abbia tagliato corto cioè sia andato per le spicce e scartando le diverse strategie disciplinari pur disponibili abbia abusato della propria libertà di giudizio contraddicendo gravemente i valori dell’adeguatezza e delle proporzionalità. Quindi andando contro il proprio codice deontologico.

In un paese dove a causa dell’obiezione di coscienza intere comunità di cittadini sono deprivate dei loro diritti, dove il medico persino sul testamento biologico di un malato può contestarne le volontà, dove il governo non copre finanziariamente le prestazioni sanitarie essenziali e milioni di italiani rinunciano alle cure per ragioni economiche, radiare un medico, perché il suo punto di vista sui vaccini non è conforme a quello di una malintesa e assai discutibile ortodossia scientifica ,mi pare francamente abnorme, fuori da ogni criterio di ragionevolezza.

Proprio per questo l’episodio della radiazione, ci dice di un clima, di una suggestione collettiva, ma anche di una inquietante regressione culturale della medicina, che ci riporta a Loudun la cittadina francese che nel romanzo di Aldous Huxley (I diavoli di Loudun) diventa il luogo dove con una condanna a morte di un prete innocente si conclude uno dei casi più impressionanti di isteria collettiva.

Treviso come Loudun? Probabilmente sì ma allora in cosa consiste questa volta l’isteria collettiva?

Essa riguarda certamente i vaccini una questione sulla quale mi sono già espresso (il manifesto 31.01.2017) e rispetto alla quale continuo a ritenere che tra raccomandare e costringere la strada migliore sia di mettere mano ad una deontologia sociale con la quale formare le persone al dovere alla salute da intendersi come quello compreso tra la profilassi e qualsiasi altra misura di prevenzione primaria.

Ma a parte questo Treviso come Loudun perché oggi l’isteria collettiva riguarda una medicina che arranca, che perde di credibilità e di autorevolezza, fortissima sul piano della scoperta scientifica ma altrettanto debole sul piano culturale sempre più tentata a risolvere i suoi difficili rapporti con questa società ricorrendo ad uno scientismo autoritario e ad un soffocante proceduralismo metodologico.

Alla richiesta sempre più forte di consenso informato, alla pretesa di senso che le persone esprimono ben oltre i significati scientifici delle loro malattie, la medicina oggi, dopo anni di retorica sull’umanizzazione, sulla personalizzazione, sull’empowerment, è sempre più tentata a trasformare il suo paziente in una trivial machine, obbediente e consenziente. Condizionata pesantemente dall’economicismo che prima di tutto se la prende con i medici revocando in molti casi la loro autonomia, la medicina nasconde le sue difficoltà dietro un mare di linee guida come se si scoprisse incapace di essere autonoma e di stare dentro una relazione terapeutica.

Con delle evidenze scientifiche spesso falsificate dalla realtà complessa dei malati, sembra ritornare a vecchi riduzionismi, a un vecchio scientismo che fuori dall’orizzonte strettamente scientifico non ammette niente. Oggi non c’è solo l’obiezione di coscienza dei medici ma c’è anche l’obiezione di coscienza dei cittadini dietro alla quale c’è di tutto un po (pregiudizi, convinzioni, credenze, informazioni sbagliate cc).

Per cui nella medicina cresce il segreto desiderio di trasformare persino i vaccini in un trattamento sanitario obbligatorio (la Costituzione, prevede la volontarietà dei trattamenti sanitari, riservando l’obbligatorietà solo nei casi determinati dalla legge).

Treviso come Loudun perché l’ordine non esita a radiare un medico considerato per le sue idee un eretico dal momento che a proposito di vaccini aveva osato sottoscrivere una lettera di dissenso all’Istituto superiore di sanità, un esposto al Cceps , senza risparmiare critiche ai vertici della Fnomceo.

Mi sbaglierò ma questa faccenda puzza di intolleranza, di integralismo, di fanatismo e alla fine sembra una resa dei conti consumata in nome della scienza contro chi, senza negarla, tenta in realtà di interpretarla nelle sue numerose attualità.

Sconcertano sono le reazioni a partire dalla politica (Gelli del Pd), a giustificare la radiazione come una necessità pedagogica, quindi come una punizione esemplare fatta in nome della buona medicina, senza comprendere la stupidità di una decisione tanto scellerata quanto ingiusta.