Un’opera in cui la musica, intrecciata a doppio filo alla danza, alla parola e al canto, prova a raccontare l’orrore della violenza, il femminile violato e spronato a ritrovare l’onore nella follia del terrorismo suicida, la paura e la rivolta contro la morte, la speranza seppellita dalla ferocia. È la sfida di Madina, nuova produzione del Teatro alla Scala in scena fino al 14 a firma di Fabio Vacchi per la musica, libretto di Emannuelle de Villepin tratto dal suo romanzo La ragazza che non voleva morire, coreografia di Mauro Bigonzetti. Interpreti principali Antonella Albano e Roberto Bolle con Martina Arduino, Gioacchino Starace, Gabriele Corrado. Corpo di Ballo, Coro e Orchestra del Teatro, nel cast anche l’attore Fabrizio Falco, il mezzosoprano Anna-Doris Capitelli e il tenore Chuan Wang. Scene e luci di Carlo Cerri, costumi di Maurizio Millenotti. Accolto al debutto da più di 10 minuti di applausi.

IL ROMANZO originale si ambienta in Cecenia, ma scrittrice e compositore hanno preferito togliere Madina da una collocazione precisa. La scena, la musica ci portano dentro l’allerta di una città in guerra senza nome, un indefinito Oriente o Medio-Oriente vissuto da chi vi è dentro, ma anche guardato da chi sta fuori, in Occidente. «Un vortice di brutalità» lo chiama Vacchi: «occidentali e orientali, sfruttatori e attentatori stritolano se stessi. Una fatidica spirale nella quale rimangono imprigionati gli innocenti».
Madina, interpretata con aderenza totale dalla prima ballerina Antonella Albano, nella guerra ha perso madre, padre, l’amica del cuore, stuprata prima di lei e morta, l’allegria di fantasticare sul futuro. Suo zio, Kamzan, un inedito Bolle senza pietà, è diventato un guerrigliero, non ha più anima, vuole solo vendetta: convince Madina secondo una religiosità distorta che per riconquistare l’onore perduto nello stupro deve diventare una kamikaze e uccidere il nemico. Altro pensa il padre di Kamzan e nonno di Madina, Sultan – un dolente Gabriele Corrado (unico a sostituire Bolle in una replica): «Non si vince così la guerra e lei non ha disonorato nessuno. Assomigliamo sempre più ai nostri nemici. Madina vuole vivere e voi la uccidete. Assassini! Assassini!».

BIGONZETTI firma una coreografia che non ha paura di incarnare nel movimento l’esercizio crudele della forza sui più deboli. Madina straziata, trascinata a terra, presa per la gola: i passi a due con Kamzan sono il volto della violenza che non vorremmo mai vedere. Il Corpo di Ballo è il popolo in guerra, sconfitto dalla guerra stessa. Eppure Madina sceglie di opporsi a ciò per cui l’hanno preparata. Getta la cintura esplosiva a terra. L’artificiere prova a disinnescarla e salta in aria. Madina è condannata a vent’anni di prigione. Vani i tentativi di salvarla del giornalista di Parigi, Louis, e della zia occidentale, Olga, coppia che trova un raggio di luce nell’amarsi: vivono nella danza espressiva di Gioacchino Starace e Martina Arduino e nelle voci dei cantanti, alle quali spettano più ruoli come a Fabrizio Falco. La narrazione viaggia su più piani, le parole, il canto, le scene di Carlo Cerri raccontano e evocano gli eventi, la danza ciò che vive il corpo.

VACCHI FIRMA una partitura che emoziona, oltre la forma delle storiche avanguardie, il coro, come nella tragedia greca, è voce collettiva che rende universali, commentandole, le azioni. C’è pathos in quel canto sui morti che non risusciteranno, è con loro che la speranza è seppellita dalla ferocia. Danzano come nudi in costume color pelle, in una sorta di Sacre dell’aldilà dove non c’è via alla rinascita: morto finirà anche Kamzan che nel prologo – sorta di visione anticipatrice -, appare già tra le fiamme di quel mondo in rovina raccontato a tinte forti dagli sfondi digitali.
Uno spettacolo complesso, che sviluppandosi riversa nei corpi, nella voce e nella musica, il dolore fisico del sopruso, il conflitto insito in ogni rapporto di crudeltà e vendetta che travolge vittime e carnefici. Temi drammaticamente attuali.