«Un giorno di follia, il Parlamento si è messo contro l’Italia». Per il Pd la sberla è fortissima. Ci hanno provato in tutti i modi a salvare il governo. Lavorando ai fianchi Conte fino all’ultimo minuto utile. Dopo l’intervento mattutino di Draghi, Letta aveva visto più di uno spiraglio. A partire dai riferimenti all’agenda sociale, su cui Draghi si era già impegnato dopo l’incontro coi sindacati.

Anche i ministri Franceschini e Orlando, di sponda con il collega grillino D’Incà, hanno cercato di convincere Conte che rompere era un errore. Poi, dopo l’ultimatum delle destre, che ponevano come condizione l’uscita del M5S dalla maggioranza, Letta si è precipitato in Senato: lungo colloquio con Conte e Roberto Speranza, i tre leader di quello che era (e forse non sarà più) il fronte giallorosso. A quel punto il governo era spacciato, ma il tentativo è stato di persuadere il leader M5S a lavare le sue impronte digitali dalla pistola fumante, a lasciare la responsabilità della caduta a Salvini e Berlusconi.

«Se voti la fiducia possiamo fare campagna elettorale insieme, saranno loro gli irresponsabili». Niente da fare. La replica del premier, con quelle parole contro il superbonus edilizio, ha gelato i mediatori. E i falchi hanno preso definitivamente il sopravvento. E il loro leader li ha seguiti. «Il Paese guarda sgomento una decisione assurda e folle», tuona Letta al Tg1. «I tre grandi partiti della maggioranza hanno deciso di anteporre i loro interessi a quelli del Paese», prosegue. «Ora andremo al voto rapidamente, temo una campagna elettorale in condizioni difficili per l’Italia, Draghi ci ha difeso in Europa e dalle turbolenze dei mercati. Ma gli italiani nelle urne dimostreranno di essere più saggi dei loro rappresentanti in Parlamento».

All’indirizzo di Conte arrivano parole dure: «Lega, Forza Italia e M5S hanno assunto decisioni gravi e sbagliate, chi ha affossato il governo Draghi è andato contro l’Italia», dicono dal Nazareno, ribadendo «l’orgoglio per aver sostenuto con lealtà il governo». Il segretario non si aspettava la mossa di Berlusconi, che lo ha preso in contropiede. E infatti ha cercato in ogni modo di salvare almeno una maggioranza “Ursula” con M5S e Forza Italia.

Non pronuncia però alcuna parola definitiva verso la possibile alleanza col M5S alle elezioni, come pure era stato minacciato da Franceschini una decina di giorni fa. Nei prossimi giorni Letta riunirà la segreteria, poi la direzione. C’è una campagna elettorale da preparare, decisioni difficili da prendere. I partiti che ieri hanno votato la fiducia insieme ai dem, da Renzi a Calenda ad Articolo 1 fino al gruppo di Di Maio (95 voti in tutto), potrebbero essere i partner naturali (insieme ai rossoverdi di Fratoianni e Bonelli), per una coalizione all’insegna della responsabilità e dell’eredità di Draghi. Ma al Nazareno frenano: «Delle alleanze discuteranno gli organismi dirigenti». Un modo per dire che la lealtà a Super Mario non può essere l’unico collante del fronte che si opporrà al centrodestra a trazione Meloni. E poi in quel mondo centrista solo Calenda porterebbe voti veri. E non è detto che voglia stare in una coalizione.

Prudenza, dunque, sul fronte alleanze. Ma è evidente che il rapporto con il M5S è seriamente danneggiato, anche agli occhi di chi lo ha sempre incoraggiato come la sinistra del partito. E che oggi ha meno argomenti per difendere la truppa stellata. «E poi, a questo punto, chi può giurare che il leader sarà ancora Conte?», si domandano i parlamentari dem. «Con questa linea estrema è più facile che al timone arrivino Di Battista o Raggi».

Chi si batterà per ricucire il fronte giallorosso è il gruppo di Speranza e Bersani. «Noi faremo di tutto, ma prevedo che per un paio di settimane grillini e dem faranno a cazzotti, la ferita è troppo fresca», spiega una fonte bersaniana. Alla fine l’istinto di sopravvivenza potrebbe portare a una pace pre-elettorale. E la conferma delle primarie giallorosse in Sicilia è un indizio. Ma i tormenti del M5S, tra probabili nuovi addii e una leadership sempre più in bilico, non sono finiti. E così Letta e compagni sono costretti a guardare giù, nel baratro delle urne: «La nostra linearità pagherà tra gli italiani, Draghi aveva un gradimento altissimo». Per ora sembra più una speranza che una convinzione. Ma la storia è piena di partiti e leader che hanno chiesto e ottenuto il voto anticipato convinti di vincere a mani basse. Per poi uscirne scornati. «Chissà», sospira un senatore Pd.