Più si dimostrano intransigenti i creditori nei confronti di Alexis Tsipras, più si rafforzano le voci almeno nella sinistra radicale greca che chiedono vie alternative, elezioni anticipate e l’uscita della Grecia dall’eurozona.
Il contenuto dell’accordo, nel caso davvero ci fosse, non solo fa inasprire il dibattito in seno a Syriza, ma mette alla prova la compattezza del suo gruppo parlamentare. La sinistra radicale è sempre stata un’area politica che comprende tutti: dai socialisti irradiati dal Pasok e dal Kke, ex eurocomunisti fino a ecologisti-verdi, anti-global e «cani sciolti» con diverse strategie. Un vero arcobaleno politico, ma anche un campo di elaborazione ideologica in cui spesso si scontravano tendenze opposte, ma che ora deve governare in un ambiente europeo chiaramente ostile.

Alexis Tsipras, mettendo in evidenza la necessità di un governo alternativo che potrebbe «combattere le politiche criminali dei creditori e dei governi della Nea Dimokratia e del Pasok responsabili per la crisi», ha lasciato in parte la retorica di denuncia. Fino all’ultima campagna elettorale tendeva la mano ai comunisti del Kke, che considera Syriza un partito che «collabora con gli industriali, viene sostenuto dalle grandi imprese e ospita dei corrotti». Così il segretario Dimitris Koutsoubas.

Il cosiddetto programma di Salonicco, grazie al quale il giovane leader ha vinto le elezioni del 25 gennaio, era in pratica un testo di compromesso tra varie correnti. Nonostante ciò, i battibecchi polemici tra le varie anime non si sono mai esauriti.

Per i dirigenti, il dibattito è sempre costruttivo: rispecchia la ricchezza politica ed ideologica del Syriza, senza compromettere la sua unità. Per i media (e non soltanto per quelli che fanno il gioco degli oligarchi greci), il dialogo interno mette in evidenza le «divergenze profonde tra le correnti» e indebolisce il governo. Per una parte dell’elettorato, si tratta di «poliglottismo degli esponenti del Syriza».

Nei cinque mesi di governo, il premier greco per evitare che il suo esecutivo fosse una «parentesi di sinistra», come vorrebbero falchi finanziari, conservatori e socialisti a Bruxelles ed ad Atene, ha preferito una svolta verso il realismo. L’alternativa sarebbe uno scontro frontale ancora più duro tra il governo e i creditori internazionali, la chiusura dei rubinetti dalla Bce, il default, l’uscita obbligata dalla zona euro.

Durante questo periodo non erano pochi i momenti che componenti e deputati di rilievo del Syriza si sono schierati a favore di proposte opposte da quelle avanzate da Alexis Tsipras. L’eurodeputato di Syriza, Manolis Glezos, simbolo della resistenza contro i nazisti, il ministro delle Infrastrutture, Panajotis Lafazanis, ex dirigente del Kke e leader della Piattaforma di sinistra, la componente d’ opposizione interna più forte, la presidente del parlamento, Zoi Konstantopoulou, il vice-ministro della previdenza sociale, Dimitris Stratoulis ed ex socialisti, come il vice-presidente della camera, Alexis Mitropoulos, vorrebbero che il nuovo presidente della Repubblica provenisse dall’area della sinistra, e non di destra, com’è il conservatore Prokopis Pavlopoulos.

Riferendosi all’accordo di Bruxelles del 20 febbraio, la Piattaforma di sinistra l’aveva caratterizzato «un indovinello». Glezos la aveva paragonato ad «una bomba alle fondameta del governo di Syriza-Anel». In un documento reso pubblico allora il professore di economia, Yannis Milios (giá responsabile della politica economica del Syriza), e altri due dirigenti avevano criticato aspramente l’operato del ministro delle finanze, Yanis Varoufakis. Lo scontro ideologico tra un dirigente apertamente marxista e un ministro di sinistra, ma di tendenza keynesiana, era piú che evidente.

Noti esponenti, come il deputato Kostas Lapavitsas, professore all’Università di Londra, non perdono occasione per esprimersi a favore del ritorno alla dracma, mentre altri non vogliono sentir parlare di privatizzazioni o difendono i prepensionamenti. «Se la Grecia esce dall’ eurozona non sará la catastrofe» scrive nel sito web la Piattaforma di sinistra. Gli «inconciliabili» credono che una fuoriuscita della Grecia dall’Ue metterebbe i greci in salvo, ed è comunque meglio del perenne stato di impoverimento attuale, senza tener conto che la competitività resta bassissima. I «realisti» replicano che c’è spazio per un compromesso onorevole secondo il programma di Salonicco.

L’opposizione interna non ha mai finora messo in dubbio apertamente né le scelte di Tsipras, né la sua tattica durante le trattattive. Anzi, ieri Syriza ha denunciato con toni duri l’ex premier Antonis Samaras, che dopo l’incontro a Bruxelles con i creditori e «nel momento in cui il governo dà una battaglia dura per difendere i diritti dei greci, chiede un governo nuovo con un premier servo degli interessi dei creditori».

Ora per motivi di disciplina di partito o di convenienza, sembra che un numero piccolo rispetto alle reazioni interne di deputati Syriza (al massimo 10-15) voterebbero contro l’accordo. Ma, di fatto, guadagnano spazio le voci critiche alle scelte di Tsipras. Anche nel comitato centrale del Syriza. Giá 44 dei 149 parlamentari si erano espressi contro la nomina di Elena Panaritis all’incarico di rappresentante della Grecia nel Fondo monetario internazionale. Se poi si tiene conto che il partner di governo e leader del partito di destra “Greci Indipendenti” (13 seggi), Panos Kammenos, è pronto a votare contro l’accordo nel caso preveda l’abolizione dell’Iva scontata sulle isole, e che Syriza ha 149 seggi, non è da escludere un nuovo ricorso alle urne o un referendum affinché Tsipras rinconfermi il mandato.