Hanno urlato, in due si sono sdraiati sotto un bus, qualcuno ha preso un estintore minacciando di farlo esplodere, qualcun altro si è lanciato contro un pulmino di turisti che fortunatamente procedeva molto lentamente. Sono i lavoratori dei consorzi di bacino per la raccolta dei rifiuti in Campania giunti ormai al secondo giorno di proteste. Lunedì hanno bloccato l’ingresso dell’inceneritore di Acerra e in una decina sono saliti in cima alla torre, aggirando la sorveglianza e fermando l’impianto per l’intera mattinata. Manifestano perché da quasi un anno non percepiscono lo stipendio e perché il tavolo per la loro vertenza, che doveva tenersi oggi a Roma al ministero dell’ambiente, è stato rinviato a data da verificare.

Segno che la copertura per i loro servizi probabilmente non c’è. In tutto sono quasi 2.000, in cassa integrazione dopo lo scioglimento dei consorzi provinciali. Quelli dell’ex Bn3 di Benevento solo qualche giorno fa hanno ricevuto le lettere di licenziamento. «La cassa integrazione era la nostra unica salvezza – spiega Piero Mancini della Cgil sannita – ma in molti si erano opposti sostenendo che essendo dipendenti pubblici non potevamo essere licenziati. Ora dovrebbero capire che era proprio l’opposto».

Sono invece circa 200 gli appartenenti agli ex consorzi di Napoli e Caserta che animano questa sommossa. Negli anni i consorzi sono stati anche grandi carrozzoni dove è finito un po’ di tutto: clientele politiche, dimostranti di professione, persone legate alla criminalità organizzata. D’altra parte è pur stato dimostrato che in molti, una volta assunti, non sono stati mai impiegati, e i comuni hanno dato in appalto a privati il lavoro di loro competenza. Nel 2008 la Corte dei Conti chiese oltre 4 milioni di risarcimento ai sindaci Antonio Bassolino, Riccardo Marone e Rosa Russo Iervolino proprio per non aver utilizzato 362 lavoratori del consorzio Napoli 5. Eppure del loro lavoro potrebbe effettivamente esserci bisogno per il porta a porta che in regione stenta a decollare.

«Non ci hanno mai messo in grado di lavorare, a Giugliano avevamo tutto poi ci hanno tolto i mezzi, anche le scope», ha spiegato una signora durante la protesta di eri mattina a piazza Matteotti. Poi la tensione è salita alle stelle, alcune donne si sono sdraiate per terra e sono state trascinate dalla polizia, tra svenimenti e grida disperate. Sono volate parole grosse davanti alla sede della provincia, quelle più diplomatiche hanno definito i politici locali «pecoroni» e «camorristi».

Le forze dell’ordine intervenute hanno fatto fatica a tenere sotto controllo la situazione, l’esasperazione era tangibile. In molti urlavano: «arrestatemi» o «portatemi carcerato», facendo il segno delle manette. Un uomo è salito su un container per la raccolta di indumenti usati, divelto e lasciato a sbarrare una strada adiacente al palazzo provinciale. Un altro uomo sulla cinquantina ha avuto un malore ed è stato trasportato via in autoambulanza. Poi è stato esploso qualche lacrimogeno e il sit-in è stato sciolto, ma non essendo risolta la questione non si esclude che le proteste possano ricominciare oggi stesso.