Sarà ricevuta oggi negli uffici del ministero delle Politiche Agricole dal ministro Centinaio una delegazione degli ormai famosi «gilet arancioni» pugliesi, accompagnata da esponenti di varie associazioni del mondo agricolo (Agci, Associazione frantoiani di Puglia, Cia, Confagricoltura, Confocooperative, Copagri, Italia olivicola, Legacoop, Movimento nazionale agricoltura, Unapol, Confederazione Italiana Liberi Agricoltori).
Dopo le proteste degli ultimi giorni, confluite nell’invasione pacifica di oltre tremila agricoltori e imprenditori lunedì mattina a Bari, si muove la politica istituzionale. A cominciare da Centinaio, che ha già promesso di recarsi a Bari il prossimo 31 gennaio. «Il governo, rispetto al passato, non ha intenzione di lasciare indietro nessuno e far cadere nel dimenticatoio il dramma di quanti vivono di agricoltura e non riescono a ripartire», ha detto il ministro. Che nella serata di ieri ha poi annunciato un decreto ad horas sulla problematica «Xylella», da far confluire nel prossimo decreto «Semplificazioni», all’interno del quale troverà posto anche un provvedimento sulle gelate degli ulivi.

Ma lo tsunami politico provocato dalle proteste dei «gilet arancioni»  ha travolto soprattutto la Regione Puglia guidata da Michele Emiliano, accusata dagli agricoltori «di aver ucciso il settore olivicolo». Terremoto che ha mandato in tilt i rapporti tra l’attuale assessore regionale pugliese all’Agricoltura Di Gioia, che lunedì ha annunciato su facebook le dimissioni, accusando il governatore di aver avocato a sé «la regia politica sulla materia». Alla base del dissidio, la riunione convocata da Emiliano lunedì sera a Bari con una delegazione dei «gilet arancioni», alla quale l’assessore non è stato invitato. Lo stesso presidente ha replicato sul profilo social dell’assessore, rifiutando le dimissioni.

Ma da dove nasce questo movimento che in pochi giorni ha attirato attorno a sé migliaia di agricoltori pugliesi? Il portavoce è il Conte Onofrio Spagnoletti Zeuli, storico imprenditore di Andria. Primo motivo della protesta, di un mondo che da anni mostra una turbolenza latente, è la mancata declaratoria dello stato di calamità per le gelate del febbraio e marzo 2018. Eventi che hanno provocato danni spaventosi al comparto agricolo pugliese: 90 mila ettari di terreno in cui non si è raccolta un’oliva, un milione di giornate lavorative perse, mille frantoi fermi, 800 milioni di euro andati in fumo. Per questi motivi è stato chiesto l’immediato riconoscimento della declaratoria di calamità atmosferica, con la dotazione di 100 milioni per compensare la produzione lorda vendibile persa e 5 milioni per i danni dalla gelata. Secondo il governatore Emiliano però, «non era possibile agire per legge, perché essendo queste  materie assicurabili non è possibile attivare le provvidenze e la dichiarazione dello stato di calamità. All’epoca della gelata – poiché non è stato rilevato immediatamente l’effetto – non erano stati emessi dal Governo quei provvedimenti prodromici per poter chiedere e fare le assicurazioni».

Altro motivo alla base della protesta, il blocco dei fondi europei assegnati alla Regione Puglia e a tutt’oggi inutilizzati. Nel corso del tempo si sono susseguiti riunioni e incontri, che però non hanno prodotto alcun risultato tangibile: fondi che per il movimento di protesta potevano portare lavoro e investimenti, ma che ora rischiano, qualora non utilizzati in tempo utile, di tornare a Bruxelles. Terzo motivo della mobilitazione la vicenda Pac (politica agricola comunitaria): per gli agricoltori pugliesi solo la Brexit rischia di mandare in fumo 4 miliardi di euro. La richiesta è quindi quella di revisione delle modalità di ripartizione degli aiuti accoppiati puntando principalmente su maggiori risorse all’olivo ed al frumento duro.

Infine, non certo per importanza, il dramma della «Xylella». Per gli agricoltori pugliesi l’inerzia della Regione ha prodotto una vera e propria ‘desertificazione’. Il movimento chiede di individuare una autorità unica di gestione e coordinamento di tutti gli interventi e l’approvazione di una norma che permetta l’eradicazione delle piante irrimediabilmente attaccate dal batterio. Sulla questione, salita agli onori della cronaca nel 2013 ma conosciuta molti anni prima (2008), regna la confusione più totale. Tra piani d’intervento mai attuati, atti della magistratura, espianti iniziati e interrotti, proteste, manifestazioni, convegni nazionali e internazionali, indecisione della politica regionale e dei governi centrali e fermezza dell’Ue, ancora oggi si è a metà del guado. Con danni che hanno superato il miliardo di euro e un patrimonio unico al mondo a rischio estinzione.