Il presidio dei sindacati sotto il ministero dello Sviluppo ottiene subito un risultato. Il ministro Luigi Di Maio ha convocato per oggi alle 17 Fim, Fiom e Uilm, ma già ieri c’è già stato un confronto.

ARRIVAVANO DA TUTTA ITALIA gli operai del settore metalmeccanico nel terzo anniversario del decreto legislativo del Jobs act di riforma degli ammortizzatori sociali: un compleanno di rabbia per chi si è visto tagliare un anno di cassa integrazione straordinaria e in questi mesi rischia di essere licenziato dalla propria azienda che non può più rinnovare Cigs e contratti di solidarietà.

Le azienda in crisi riguardano tutti i comparti: dagli elettrodomestici alla siderurgia, dall’Information Technology all’elettronica per finire con l’automotive e l’indotto e molti stabilimenti Fca. Con licenziamenti già in atto – i cinesi di Wanbao hanno già dato il ben servito a 90 lavoratori alla Acc di Mel (Belluno) – si stimano oltre 80mila lavoratori metalmeccanici interessati dalla Cassa integrazione straordinaria che arrivano a 189mila sommando quelli delle 144 aziende per cui al Mise è aperto un tavolo di crisi, mentre – denuncia la Fiom – «31 aziende hanno cessato l’attività in Italia per delocalizzare all’estero mettendo a repentaglio oltre 30mila posti di lavoro e ci sono 147 gruppi di imprese interessate da procedure di amministrazione straordinaria».

SI VA DALLE GRANDI multinazionali dell’elettrodomestico – Electrolux e Whirlpool – alla Tecno di Reggio Emilia e la Comital di Torino che sono in procedura fallimentare, per passare alla Emarc di Chivasso (Torino), la De Masi di Gioia Tauro, la Jabil di Caserta, la Imat Marcegalia di Pordenone, la Piaggio di Savona, la Jp Industries di Fabriano e di Nocera Umbra, la Om Carrelli di Bari. Senza dimenticare le aziende dell’indotto dell’ancora non ripartita Alcoa di Portovesme, quelle del petrolchimico di Siracusa, la Comdata di Padova, la Agis di Vicenza.

«Non ne possiamo più, il Jobs act ci fa licenziare anche se l’azienda ha buone prospettive», è la frase che si sente raccontare più spesso.

IL MINISTRO DI MAIO ha buon gioco a denunciare «l’assassinio politico» operato col Jobs act «una riforma folle che umilia le persone». Molto meno nel trovare soluzioni: ha annunciato da settimane il ritorno della cassa integrazione per cessazione che consentirebbe ai 318 lavoratori della Bekaert di Figline Valdarno di avere 12 mesi di «cassa» in più – il testo però non si vede e la scadenza del 3 ottobre per i licenziamenti si avvicina mentre tante altre aziende, come la Comital in procedura fallimentare non sanno se saranno inserite – e ora dovrà dare risposte alla stragrande maggioranza di lavoratori a cui la cigs per cessazione non serve.

«NON CI ACCONTENTEREMO di proroghe, quello che serve è una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali», avverte il segretario generale della Uil Rocco Palombella. Sulla stessa linea Francesca Re David (Fiom): «Bisogna bloccare l’emergenza, ma poi bisogna pensare ad ammortizzatori universali con solidarietà difensiva e espansiva che prevedano la riduzione dell’orario di lavoro necessario per affrontare l’epoca di innovazione che ci aspetta è ora di finirla con le disuguaglianze. Occorre connettere gli ammortizzatori sociali allo sviluppo di politiche industriali e innovazione». Ora, spiegano i sindacati, ad un’azienda costa meno licenziare che mandare i lavoratori in cassa integrazione o con contratti di solidarietà. «In ogni caso non accetteremo la Naspi o il reddito di cittadinanza come soluzione», ha aggiunto il segretario generale della Fim-Cisl Marco Bentivogli.