Se la questione socialista è un problema specifico della sinistra italiana, la stessa sinistra italiana nel suo complesso è l’unica nella condizione di proporre un riavvicinamento – anche in Europa – tra le sinistre di varia matrice culturale, l’ambientalismo ed il federalismo. Il bilancio complessivo europeo, includendo il Pse, è infatti uno spostamento a destra del panorama politico. Ma se esiste una possibilità di invertire la politica europea, tale possibilità sfuma se i partiti membri del Pse sono visti come un blocco di avversari da battere e non interlocutori necessari. È in gioco il futuro della democrazia in Europa e delle politiche sociali. I partiti del Pse sono capaci di generare sorprese come la elezione di Jeremy Corbyn a leader del Labour.

Pur con le differenze evidenti la situazione attuale presenta una caratteristica comune con la crisi democratica degli anni 20 e 30 del XX secolo: l’attacco alla democrazia costituzionale e sociale è ampio e articolato e ha come obiettivo proprio le Costituzioni democratiche-sociali (con un forte ruolo dei parlamenti rispetto ai governi) del secondo dopoguerra. Va rilevato, infatti, come solo i parlamenti siano, per loro genesi storica e loro funzione, le istituzioni che possono garantire una redistribuzione (attraverso tasse progressive e servizi dello stato sociale) ed un intervento regolatore che crei il mercato concorrenziale (prodotto non dato in natura). Colpire i parlamenti è indice di cosa si voglia abbattere.

Gli avversari sono i centri di potere economico finanziario ed i governi che ne tutelano gli interessi anti erario, anti regolamentazione della concorrenza, anti stato sociale. La manovra a tenaglia è sia interna che esterna: interna con i progetti di revisione costituzionale per concentrare i poteri negli esecutivi, esterna con i trattati internazionali (tipo Ttip) o i poteri di controllo assegnati ad organismi come Troika, Commissione europea-Bce-Fmi, non solo senza legittimazione politica democratica, ma neppure statutaria e ancorata nei trattati Ue. Il socialismo democratico aveva una visione mondiale del proprio compito, come si desume dalla Carta di Francoforte fondativa dell’Internazionale Socialista; era portatore di altri valori per la società (manifesto di Bad Godesberg); produsse piani come quello Maidner e personaggi come Willy Brandt e Olof Palme; una visione di economia mista e sociale che privilegia gli interessi collettivi, chiarissima nella nostra Costituzione, in particolare negli artt. 35-47 (rapporti economici). L’odierna offensiva coinvolge assieme la garanzia dei diritti, la divisione dei poteri e le conquiste dello stato sociale. Ma il mancato ripensamento delle forme dell’aggregazione politica ha prodotto un vuoto inerme. I partiti non sono tuttora gli strumenti di partecipazione democratica prefigurati dall’art. 49 Cost., bensì di esproprio della democrazia rappresentativa, come dimostra il continuo richiamo alla disciplina di partito per far approvare leggi incostituzionali come l’Italicum.

Le grandi conquiste del compromesso socialdemocratico, in primis il welfare state, sono l’obiettivo delle destrutturazioni imposte con il pretesto della crisi economico-finanziaria, che si è acuita a partire dal 2007, ma il cui punto di partenza è di vent’anni precedente: ha origine nell’erosione del potere di acquisto di stipendi e salari e della loro percentuale del Pil rispetto alle rendite e ai guadagni finanziari, con la concentrazione della ricchezza nel decile superiore delle classi sociali. In Italia si aggiungono fattori specifici: 1. Profonda iniquità fiscale, in barba alla Costituzione che impone la progressività delle imposte; 2. Truffa “interna” del changeover lira-euro (taroccato a 1000 lire per 1 euro) che ha raddoppiato i prezzi di beni e servizi ma non i salari; 3. Endemica illegalità, corruzione, sfruttamento da lavoro nero e criminalità organizzata.

Dalla funzione trainante del lavoro, nella ricerca del benessere della società, si è passati ad una criminalizzazione dell’epoca in cui l’economia sociale di mercato costruì un modello europeo di successo (i Trent’anni Gloriosi 1945-1973, in cui si verificò la grande espansione ed il miglioramento delle condizioni dei lavoratori). Le pulsioni iperliberiste prevalenti non sopportano un mercato effettivamente libero e concorrenziale perché regolamentato e controllato da pubblici poteri democraticamente legittimati e, quindi, negano la stessa possibilità per le politiche pubbliche di coniugare rigore e servizi dello stato sociale.

Assistiamo ad un processo generale di riduzione dello spazio pubblico e di interventi pubblici di regolazione dell’economia degli stati nazionali, non compensati dai poteri crescenti di organizzazioni internazionali o istituzioni sovranazionali, con standard democratici ridotti (perché privi di una dimensione parlamentare o con una sua insufficienza rispetto alla tecnostruttura burocratica e alla rappresentanza governativa). L’Ue ha tentato di avere un rappresentanza dei popoli in un parlamento sovranazionale, ma non è un caso se è prevalsa finora la cooperazione intergovernativa su quella comunitaria e lo strapotere del Consiglio. Si mettono in discussione le procedure proprie dei parlamenti. Un dibattito pubblico, anche ampio e profondo, che preceda le deliberazioni è più importante dei sistemi elettorali, proprio perché consente una corretta informazione sulle ragioni delle scelte nella gestione della cosa pubblica, anche al fine di poterla influenzare con i canali dell’azione politica e della opinione pubblica. Ancora una volta si ripropone il problema dell’esistenza di luogo di confronto plurale e decisione condivisa, nel quale delineare un progetto da contrapporre a quello renziano. Ci vuole una nuova legge elettorale e un’azione decisa di attuazione della Costituzione come parte principale di un programma di governo di una sinistra, radicalmente ed intransigentemente riformatrice. Una sinistra che dia concretezza a riforme di struttura ed ad una doppia strategia di rafforzamento della democrazia rappresentativa e della sua estensione con istituti di democrazia diretta e di partecipazione dei cittadini. Nel settembre del 1915 a Zimmerwald e nell’aprile 1916 a Kienthal ci fu il riscatto morale del socialismo pacifista.

A cent’anni di distanza dovremmo cercare di dare un segnale della stessa forza da parte della sinistra europea, magari su impulso di quella italiana.