Da ottobre 2017 è iniziata la crisi del cosiddetto Camerun anglofono, una porzione di territorio colonizzata dagli inglesi che si è sempre sentita in secondo piano rispetto al centro «francese». All’inizio le proteste, represse dalla polizia, riguardavano i bassi salari e l’arrivo di insegnanti francofoni al posto dei locali anglofoni. Poi la decisione di autoproclamarsi Repubblica indipendente (Ambazonia).

UNA CRISI che ora non sembra più fermarsi. Nei giorni scorsi sono proseguite azioni militari ordinate dal governo centrale che hanno spinto sempre più persone a fuggire. I rifugiati camerunesi in Nigeria sarebbero oltre 43.000. Una cifra tre volte più alta di quella indicata dall’Onu e dai funzionari nigeriani solo due settimane fa.

Nello stato di Cross River, in Nigeria, che confina con il Camerun sudoccidentale, vi sono secondo John Inaku, direttore generale dell’Agenzia statale di gestione delle emergenze (Sema), oltre 33.000 rifugiati. E 10.216 sono nel vicino stato di Benue. «In questa situazione di guerra i rifugiati arrivano attraverso la foresta e ogni tipo di passaggio che permette loro di varcare il confine», ha spiegato il funzionario. «Noi, prosegue, abbiamo detto agli abitanti delle nostre comunità sul confine di far passare i rifugiati, di accoglierli e così è stato, ma essendo zone remote non abbiamo immediatamente informazioni sugli arrivi».

Ora il problema è che se il flusso prosegue con questa intensità possano nascere problemi con le comunità locali nigeriane. La stessa situazione è stata riscontrata dal direttore generale della Sema nello stato del Benue Emmanuel Shior: «Abbiamo difficoltà a contare i rifugiati perché si trovano in aree molto remote».

I RIBELLI sono nascosti in Nigeria e da oltre confine attaccano le postazioni militari camerunesi. Per questo sia i media filogovernativi che i vertici dell’esercito accusano apertamente la Nigeria di proteggere gli insorti. Da ottobre, secondo quanto rilevato dall’International crisis group, almeno sedici soldati e agenti di polizia del Camerun sono stati uccisi e una ventina feriti durante tredici attacchi guidati da separatisti (quattro volte il numero delle vittime militari uccise da Boko Haram nell’estremo nord durante lo stesso periodo). E dopo l’arresto dei leader secessionisti in Nigeria la componente armata del movimento sembra prevalere, mentre il governo dell’Ambazonia ha finora respinto l’opzione di un’insurrezione violenta.

GLI INSORTI hanno due livelli di azioni, il primo piccoli gruppi, dalle 10 alle 30 persone, che operano prevalentemente con attacchi incendiari, il secondo è costituito da tre milizie ribelli, che contano, secondo International crisis group, un centinaio di combattenti: le Forze di difesa di Ambazonia (Adf), guidate da Ayaba Cho Lucas e Benedict Nwana Kuah, le Forze di difesa del Camerun del Sud (Socadef), comandate da Ebenezer Derek Mbongo Akwanga e l’omonimo gruppo chiamato Southern Cameroons Defence Forces (Scdf). A queste ultime viene in particolare attribuita la responsabilità di almeno sette attacchi con bombe (di cui uno a Douala) che non hanno provocato vittime, ma sono stati interpretati come segnali di forza.

Intanto il governo e gli alti ranghi dell’esercito oscillano tra l’opzione militare e il dialogo. Solo pochi mesi fa nella capitale si pensava che il problema anglofono non esistesse. Gli elementi radicali all’interno del governo credevano che la crisi sarebbe stata risolta semplicemente arrestando i leader del movimento federalista, ma al contrario ora la situazione è in costante peggioramento: la risposta militare ha innescato un ciclo di violenze (solo tra venerdì e sabato nove civili sono stati uccisi a Mbongue e 2 militari a Belo).

L’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, ha espresso grande preoccupazione per il rientro forzato in Camerun dalla Nigeria di 47 camerunesi (tra cui Ayuk Tabe e tutti i leader del movimento secessionista) il 26 gennaio 2018. La maggior parte delle persone aveva presentato richiesta di asilo. Il loro rimpatrio forzato è in violazione del principio di non-refoulement, che costituisce la pietra angolare della legge internazionale sui rifugiati.

Grandi assenti appaiono le diplomazie (anche se il Congresso statunitense potrebbe esprimersi a breve a seguito della presentazione di una risoluzione da parte di alcuni deputati e la Francia ha esortato il governo camerunese a impegnarsi in un dialogo per fermare l’escalation della violenza) forse poco consapevoli che la destabilizzazione in Camerun avrebbe necessariamente conseguenze sub-regionali sia in Africa centrale che in Nigeria.