Atteso, sofferto, combattuto sino all’ultimo secondo il voto sulla fiducia non ha cambiato quasi niente. La caccia ai responsabili prosegue e anzi si intensifica. Conte si mostra sicurissimo: i «nuovi gruppi» spunteranno a breve, subito dopo si passerà al rimpasto. Prima però, nella notte, un passaggio obbligato: la delega ai servizi segreti, affidata al segretario generale di palazzo Chigi Roberto Chieppa, un fedelissimo, o all’ex ambasciatore Pietro Benassi. Dal medesimo palazzo, proprio come alla vigilia del voto in parlamento, danno i numeri. Trionfali e quasi certamente troppo ottimistici: «Almeno tre senatori in partenza da Fi, forse di più, altri 4, ma potrebbero essere 6 da Iv». Se ci saranno o meno lo si scoprirà presto. Renzi ieri sera ha riunito i gruppi proprio per testare la resistenza dei suoi e in particolare dei 3 o 4 considerati più a rischio. Usa un argomento forte: nervi a posto e aspettiamo il voto del 27 sulla relazione di Bonafede sulla giustizia, poi qualcosa cambierà.

IL PROBLEMA È CHE i numeri in sé non bastano. Devono avere una sostanza politica, costituire un gruppo non rabberciato con quel che passa il convento. Insomma, anche se nessuno lo dice chiaramente, quando si parla di «nuovi gruppi» o «quarta gamba» s’intende che bisogna guardare a destra: a Fi, a Iv, ai gruppi minori. Ieri i tre leader del centrodestra sono saliti al Colle. Messaggio univoco, neppure il forzista Tajani si è smarcato: «La maggioranza non esiste. Il governo non è in grado di gestire pandemia e crisi economica. Elezioni». All’uscita parole di piena fiducia in Mattarella.

SI SA CHE I FORZISTI però sono molto meno convinti e a maggior ragione i gruppi minori. Toti lo dice chiaramente: «Se l’esecutivo cade bisogna cercare altre soluzioni». Ma la bomba Cesa complica le cose. Ieri ha seminato il panico nella maggioranza ma anche in Fi. In questa partita il ruolo dell’Udc, che dispone di tre senatori, è essenziale. Il partito dalla cui leadership l’indagato Cesa si è dimesso ieri non è mai stato tanto vezzeggiato, assediato, fatto oggetto di promesse e pressioni d’ogni tipo, incluse quelle corpose d’oltre Tevere, come negli ultimi giorni. Non sarebbero solo 3 voti preziosissimi ma si tratterebbe anche di un simbolo in grado di costituire un gruppo in base alle nuove regole del Senato, essendosi presentato alle elezioni. Incarnerebbe anche un effettivo soggetto politico centrista, tale da richiamare adesioni anche dal gruppo forzista e oltre.

L’EVENTUALE EFFETTO UDC, anche se solo si riaprisse una promettente trattativa, potrebbe avere un impatto immediato anche sul primo gigantesco scoglio che aspetta il governo. Mercoledì si voterà la relazione Bonafede sulla Giustizia. È il primo voto importante dopo la fiducia: la ricaduta psicologica sarà massiccia. Ma questo è ancora il meno. Con la relazione bocciata il guardasigilli, capodelegazione dei 5S, potrebbe doversi dimettere. Sarebbe deflagrante nella maggioranza tutta e tra i 5S, dove nelle ultime settimana si sono moltiplicati malumori e diffidenze nei confronti del capodelegazione. In parecchi hanno preso di mira lui, Fraccaro e Crimi accusandoli di aver gestito la fase del secondo governo Conte senza mai consultare i gruppi, limitandosi a far sapere come dovevano votare e a volte neanche quello. Lo hanno appreso dai giornali.

SUL VOTO DEL CENTRODESTRA e di Iv, trattandosi di Bonafede, non c’è alcun dubbio. La sola via d’uscita sarebbero assenze strategiche provenienti da Fi ma il controllo sarà ferreo e potrebbero essere disponibili solo se si muovesse qualcosa nell’Udc. Ma come inciderà l’inchiesta contro Cesa è un enigma. Dentro Fi temono che danneggi la resistenza: Cesa, con De Poli, era una barriera contro il passaggio nelle file di Conte. Nella maggioranza sono invece pessimisti: le inchieste spingono di verso il polo più garantista e non è certo quello che regge il governo. Di Battista si sforza di fare danno: «Chi è indagato per reati gravi non può essere nostro alleato». Di Maio conferma. Parole incaute: non solo allontanano le tentazioni dei due senatori Udc oscillanti, Binetti e Saccone, ma mettono anche in forse la possibilità di usare quel simbolo. Rendono ancora più difficile la creazione di una «quarta gamba». Casini, che aveva consigliato a Cesa di non votare la fiducia pur avendo votato per Conte, aggiunge un carico pesante: «Ci vuole un governo di unità nazionale. Se non ora quando?».